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Stelle d'Europa

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- Il cinema europeo mette in mostra le sue “Shooting stars” e propone uno star system alternativo a quello americano

Il giovane cinema del vecchio continente si è fatto largo all’ultima edizione di EuropaCinema, conclusasi lo scorso 21 settembre a Viareggio. L’European Film Promotion ha presentato “Shooting Stars”, la sua iniziativa di promozione dei giovani talenti. Sette attori europei sono stati festeggiati dal folto pubblico fino alla serata finale quando hanno partecipato alla consegna dei “Federico Fellini Platinum Awards”.
Sono nate delle stelle, anche se un vero star system europeo non c’è come in Usa. “Il risultato è che nessuno conosce gli attori affermati al di fuori del loro paese” afferma Luciana Castellina, presidente di EuropaCinema. “Per questo da 5 anni le ‘Shooting Stars’ europee sono presentate al Festival di Berlino. La novità di quest’anno è che l’iniziativa è diventato itinerante e da Haugesund, Norvegia è approdato a Viareggio, Italia”.
Ma c’è proprio bisogno di uno star system europeo? In America è da sempre un fattore rilevante dell’industria cinematografica. “L’anno scorso fra le Shooting Stars c’era Stefano Accorsi per l’Italia ed è l’unico caso di divo italiano veramente presente” racconta Castellina “e comunque il nostro progetto Shooting Stars non è come quello americano: loro si presentano in tutto glamour, mentre i nostri sono normali in jeans e vestiti comuni”. I protagonisti del nuovo che avanza testimoniano quindi sulle novità del proprio Paese.
Enrique Alcides (Sagitario) dice: “In Spagna ci sono molti nuovi registi ed attori -io ne sono uno- ma è difficile perché non c’è una vera industria del cinema”. Ancora peggio in Lussemburgo dove vive Luc Feit (Le club des chômeurs), lavorando però a Berlino: “il cinema lussemburghese può esistere solo come coproduzione. Così sono contento che ci sia la Germania e la vita a Berlino è molto divertente”. Fabrizio Gifuni (Sole negli occhi) affronta di petto l’argomento: “E’ imbarazzante parlare di star perché sono il prodotto dell’immaginario collettivo della propria epoca. Non a caso le star italiane sono legate al dopoguerra quando il popolo italiano aveva bisogno di identificarsi con dei simboli. Ora purtroppo l’immaginario collettivo italiano è un po’ malandato, ma ho una grande speranza che l’Europa possa costruire un immaginario collettivo da contrapporre a quello americano”. E’ ottimista invece Lindsey Harris (Chaos): “l’Irlanda sta tornando a produrre quello che la gente vuole vedere e i film di ora potrebbero essere proiettati ovunque”. Inglese più nota per un film francese (L’Anglaise et le Duc), Lucy Russel sottolinea come “sempre più film europei si fanno con attori spagnoli, francesi, italiani ecc ed è un fatto nuovo per i britannici”. Raccoglie Margrét Vilhjálmsdóttir (Mávahlátur-The Seagull’s laughter): “l’Europa si sta aprendo, quindi dobbiamo ampliare la nostra esperienza su più fronti. In Islanda la produzione sta aumentando, ma senza l’aiuto di altri paesi europei, soprattutto scandinavi e Germania, non potremmo farcela”. Il tedesco Antonio Wannek (Wie Feuer und Flamme-Never mind the wall) conclude in modo propositivo: “abbiamo il potere di creare visioni nella testa degli spettatori, allora facciamo film per trovare soluzioni e nuove visioni per il futuro e per i nostri figli”.

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