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SOLETTA 2022

Recensione: Forma del primo movimento

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- Il primo lungometraggio del regista ticinese Tommaso Donati si appoggia sul linguaggio del corpo come rivelatore di verità nascoste nel profondo d’ognuno di noi

Recensione: Forma del primo movimento

Nato a Lugano dove tuttora vive e lavora, ma formatosi all’Eicar di Parigi, il regista ticinese Tommaso Donati non ha paura di perseguire ostinatamente il suo obiettivo (estetico): “mostrare ciò che non è visibile” proponendo un primo lungometraggio, Forma del primo movimento, di non facile accesso, a volte persino oscuro, ma che non manca certo di poesia e radicalità d’intenti.

Presentato in prima mondiale alla 57esima edizione delle Giornate di Soletta dove concorre nella sezione Opera Prima, Forma del primo movimento nasce dall’incontro del regista con la compagnia teatrale ticinese Giullari di Gulliver composta da persone in situazione di handicap che attraverso la scena scoprono un’altra maniera d’esprimersi, di relazionarsi con il mondo che li circonda e che non sempre li accoglie con tenerezza. È proprio del muro invisibile che separa l’interno: l’intimità degli attori e l’istituzione sociopsichiatrica che li ospita e l’esterno: la frenesia e l’indifferenza della quotidianità, che il film parla.

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Forma del primo movimento è un film che fa coscientemente a meno delle parole, spesso solo sussurrate in modo indistinto in sottofondo o che arrivano a noi in modo causale, per concentrarsi esclusivamente sui gesti e sulla loro verità. È proprio il lavoro sul corpo, sul movimento, svolto dalla compagnia ticinese che ha intrigato il regista al punto tale da spingerlo a realizzare il suo primo lungometraggio su questa “tecnica”.

Il film inizia fra le mura della palestra della fondazione Torriani di Mendrisio dove si svolgono le prove teatrali della compagnia. I protagonisti, attori al contempo della pièce in divenire e del film, si impongono sin dalle prime immagini attraverso una gestualità che il regista capta per trasformarla in linguaggio visivo. Attraverso i loro corpi: atipici, “imperfetti” agli occhi dei più, gli attori esprimono, protetti dalle mura della fondazione, la propria splendida unicità, si aggrappano alle sensazioni che il movimento suscita ritrasmettendoci la loro intimità, relazionandosi con un mondo che spesso li rigetta. È proprio su questo mondo, che si trova al di là delle finestre della palestra, oltre i muri dell’istituzione dove a volte gli attori si avventurano, che Tommaso Donati si concentra in un secondo tempo grazie ad un andirivieni fra intimità e anonimato cittadino. Sebbene l’intento sia interessante e pertinente, il succedersi di immagini a volte quasi astratte (piccoli istanti apparentemente banali catturati nel parco cittadino o alla stazione ferroviaria) rischia di farci perdere di vista l’intento principale del film. Lo sforzo richiesto: aggrapparsi ad ogni piccolo dettaglio per dare senso alla realtà mostrata allo schermo è a tratti davvero troppo grande e incide sull’innegabile poesia d’insieme.

Il ritmo estremamente lento che il regista ha deciso di dare al film (e che non siamo più abituati a metabolizzare) è indubbiamente lodevole perché riprende quello vissuto dai suoi attori risparmiati da una frenesia che inghiotte ormai tutto. Una presa di posizione coraggiosa che obbliga lo spettatore ad osservare una realtà che si tende spesso a marginalizzare, ad ignorare per comodità o semplice mancanza di curiosità. Forma del primo movimento è un primo film radicale, forse persino troppo, che crede in modo incondizionato nella capacità del cinema di comunicare una verità che trascende le parole. Fare a meno di una narrazione, al di là di quella puramente visiva, è una mossa al contempo coraggiosa e rischiosa che speriamo non allontani troppi spettatori da un film che vale la pena scoprire.

Forma del primo movimento è prodotto dalla ticinese Noha Film.

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