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SOLETTA 2022

Recensione: Aya

di 

- Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski ci trasportano nel metaforico e metafisico deserto di Calais accompagnati da Zimako e Lydie, due anime in attesa di una chimerica redenzione

Recensione: Aya

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(realizzato in binomio con Steven Blatter), selezionato in numerosi festival tra i quali Visions du Réel di Nyon, Lorenzo Valmontone ritorna alle Giornate di Soletta accompagnato da Thomas Szczepanski per presentare Aya (in lizza per il Prix de Soleure), un ritratto sincero e pieno d’umanità di due esseri alla deriva che cercano di sopravvivere alla monotonia letargica di un quotidiano che sembra inghiottirli.

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Risucchiati in un girone dantesco senza fine dal quale è difficile fuggire, Zimako, migrante togolese ex abitante della ormai distrutta "giungla di Calais", e Lydie, volontaria che assiste quanti a Calais sono sbarcati con la speranza di una vita migliore, sono uniti da un passato comune di abusi e violenze.

Zimako è un personaggio affascinante e complesso, marcato da un passato decisamente truculento e reduce da un’odissea migratoria dalla quale non si è ancora realmente sbarazzato. Al contempo intriso di un umorismo dai toni oscuri che lo porta ad analizzare il presente in modo estremamente personale e struggente (come non essere interpellati mentre racconta il suo sogno quasi allucinatorio di fare carriera ad Hollywood?), Zimako ci confronta con le nostre stesse debolezze e fragilità.

Lydie sembra in un primo momento accompagnare nell’ombra questo personaggio esaltato e a fior di pelle, sorta di alter ego che si nutre degli ultimi rimasugli di un passato nel quale entrambi sembravano aver trovato la loro ragione d’essere. Nella "giungla di Calais" Zimako era conosciuto come l’iniziatore di un progetto educativo che incoraggiava e sosteneva l’apprendimento del francese mentre Lydie sosteneva i migranti con azioni concrete che sensibilizzavano gli abitanti della città e i politici sulle difficili condizioni di vita nella “giungla”. L’apparente discrezione e riservatezza di Lydie si trasforma però attraverso lo sguardo di Valmontone e Szczepanski in accanita determinazione. Malgrado un passato che avrebbe potuto schiacciarla per sempre (trentanni sotto il giogo di un marito che la tirannizzava), Lydie non ha smesso di combattere e di sognare un futuro più umano, tollerante e inclusivo.

Mentre Zimako sembra progressivamente scivolare verso un fanatismo allucinato e allucinatorio, Lydie resta con i piedi per terra, forse troppo, osservatrice involontaria di un disagio sociale profondo che capisce di non poter più combattere. “Questo film nasce dal desiderio di ritrascrivere in immagini l’umano con i suoi paradossi, le sue grandezze e le sue fragilità” spiegano i due registi come a ricordarci che malgrado un’uguaglianza di facciata non siamo trattati tutti allo stesso modo. Attraverso delle immagini al contempo poetiche e “ruvide” di una Calais che ricorda a tratti il Far-West, Valmontone e Szczepanski spingono il pubblico a vivere al ritmo di Zimako e Lydie, un ritmo letargico e ossessivo basato su rituali quotidiani che acquistano un valore quasi sacro. Aya (che significa vento in Mina, la lingua materna di Zimako) ci spinge a interrogarci sulla società nella quale viviamo ma anche sull’identità o meglio sulla negazione di questa stessa identità. La vita di un migrante è fatta d’incertezza e molta attesa come ci spiegano i due registi ed è proprio quello che il loro film ritrascrive visivamente, una vita costruita su momenti di speranza e disperazione, gioia e dolore, proprio come il vento stesso che abita quasi ogni sequenza.

Aya è un film toccante e intelligente girato nell’urgenza, alla ricerca di una realtà che muta tragicamente proprio sotto i nostri occhi.

Aya è prodotto dalla giovane casa di produzione ginevrina Take Time Films. Sono attualmente alla ricerca di un distributore.

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