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VENEZIA 2021 Fuori concorso

Recensione: Dune

di 

- VENEZIA 2021: La versione di Denis Villeneuve del romanzo del 1965 è solenne, seria e non molto divertente

Recensione: Dune
Rebecca Ferguson, Zendaya, Javier Bardem e Timothée Chalamet in Dune

È probabilmente colpa di David Lynch. La sua versione particolare di Dune viene ancora ricordata come un film colossale degno delle dimensioni del barone Harkonnen, pertanto Denis Villeneuve non ha potuto far altro che rimuovere ogni possibile fonte di gioia nella sua rivisitazione del romanzo di Frank Herbert. Dune [+leggi anche:
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, la sua versione, proiettata in concorso alla Mostra di Venezia, è talmente seria da risultare quasi divertente a volte – ogni frase è ricca di significato, ogni cruccio sulla fronte di Timothée Chalamet sembra preannunciare un aggravio futuro, e la colonna sonora continua instancabilmente a sussurrarci per tutto il tempo che si tratta veramente di un film di tutto rispetto.

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Villeneuve, che si è espresso contro la Warner Bros per la sua decisione di far uscire Dune in contemporanea al cinema e su HBO Max, sembra aver tralasciato un dettaglio cruciale: non è soltanto una questione di grandi dimensioni. Il suo film si crogiola nell’estensione puntando su spazi desertici molto ampi, navicelle spaziali ridicolosamente grandi e su vermi della sabbia che potrebbero benissimo aver divorato un’intera città di Kevin Bacons, ma lesina sulla storia. È tutto molto più semplificato questa volta – anche se Herbert ha reso felici i suoi fan con la sua attenzione al dettaglio – con la Casata Atreides (guidata da Duke Leto, il personaggio interpretato da Oscar Isaac), il pianeta Arrakis dalle qualità prodigiose che non piace neanche un po’ alla Casata Harkonnen e i Fremen, i suoi abitanti dagli occhi azzurri a cui non è permesso esprimere la propria opinione. Tranne per alcuni momenti più interessanti e per la presenza delle sorelle Bene Gesserit, potrebbe essere senza alcun dubbio un film qualsiasi sullo spazio. Guardare personaggi che per tutto il film rimangono poco trasparenti agli occhi del pubblico, attraversare il deserto per due ore e mezza molto lente, non rende affatto le scene memorabili.

Di certo, all’apparenza sembra un film fantastico – con il budget che avevano a disposizione e quel cast ricco di talenti, come potrebbe non esserlo? Ma sembra anche piuttosto familiare, in qualche modo: una versione di Beyond Thunderdome con protagonista Paul Atreides. Chalamet ha quel tipo di carisma che il cinema adora, ed è perfetto per il ruolo di un ragazzo che non è ancora un uomo ma già un messia. Ed è anche l’unico ad avere un ruolo come si deve, mentre gli altri brillanti membri del cast lottano per cercare di dare maggiore rilevanza al loro personaggio – si pensi al povero Jason Momoa, che, quando si sente disorientato, decide semplicemente di dare abbracci. Zendaya rappresenta soltanto la fantasia preferita di qualcuno, e Dave Bautista sembra che stia pensando di recitare ancora in Guardiani della Galassia con Ronan l’accusatore, e non c’è da meravigliarsi – quando si hanno antagonisti di questo tipo, le ambientazioni sono sempre le stesse. Questo la dice lunga, alla fine, si sanno più cose sui loro vestiti, fondamentali per sopravvivere alle condizioni infernali di Arrakis, che sui personaggi. Ciò è accaduto anche in una precedente missione suicida di Villeneuve, Blade Runner 2049 [+leggi anche:
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. Ogni volta che decide di lasciare spazio al vero spettacolo, il lato umano finisce per scomparire.

“Questo è soltanto l’inizio” è la frase con cui la storia cerca di provocare il pubblico: ma di cosa, esattamente? Dato che si tratta letteralmente di una storia incentrata su un eroe bianco, qualsiasi interessante riflessione sulla razza e sullo sfruttamento deve essere stata rimandata. Vi sono esempi perfetti in circolazione di come si può costruire un intero universo e creare uno scenario per possibili sequel e offrire comunque un film indipendente di cui essere completamente soddisfatti, dando a tutti una nuova speranza. Dune non è tra questi esempi.

Dune è una coproduzione americana, ungherese, giordana, norvegese, canadese e degli Emirati curata da Legendary Entertainment, Villeneuve Films e Warner Bros.

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(Tradotto dall'inglese da Ilaria Croce)

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