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BRIFF 2021

Recensione: Lucie perd son cheval

di 

- Claude Schmitz propone un racconto onirico, un'ode alla vita teatrale, una passeggiata libera nella psiche di un'attrice alla vigilia di un nuovo ruolo

Recensione: Lucie perd son cheval
Lucie Debay in Lucie perd son cheval

Notato per i suoi mediometraggi dallo stile deciso (Rien tranne l'été, Braquer Poitiers, Prix Jean Vigo 2019), Claude Schmitz passa al lungometraggio con Lucie perd son cheval [+leggi anche:
intervista: Claude Schmitz
scheda film
]
, selezionato in Concorso Nazionale al Brussels International Film Festival, un oggetto cinematografico ibrido, variazione di un'opera teatrale.

Mentre si prepara a lasciare la sua giovanissima figlia per andare in tournée, Lucie (Lucie Debay) si interroga sulla sua professione di attrice, sul posto che occupa nella sua vita, come donna e madre. La sua mente spazia in un viaggio onirico che gli fa mettere in prospettiva i suoi impegni, e andare dall'altra parte dello specchio, accedere al backstage del teatro, un luogo magico e vivace anche al di fuori degli spettacoli.

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Spinta nel mondo dei sogni, Lucie è una “cavaliera”. Monta la sua cavalcatura in pianura, quando improvvisamente il cavallo scompare. Segue l'inizio di un peregrinare che la farà incrociare il cammino di altre due cavaliere, anch'esse alla ricerca della loro cavalcatura.

Alla fine del loro percorso, una scena strana, quella di un teatro, dove troviamo le nostre tre attrici, addormentate (e recluse, si potrebbe pensare), mentre interpretano Re Lear. L'approdo a Shakespeare non è un caso. "Siamo la materia di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata dal sonno", ha scritto il bardo nella Tempesta.

"Ero andata al lavoro, non devi perdere il filo", ripete Lucie. E infatti il ​​filo della storia si snoda secondo le associazioni di idee e gli incontri della nostra eroina. In pianura incontra le cavaliere che rispondono alla sua sete di indipendenza e di avventura. Dietro le quinte del teatro dialoga con il regista, il manager, l'apprendista attore, in una cornice gioiosa.

Il film è vissuto come un sogno, un peregrinare nelle profondità del quale è bene perdersi al fianco di Lucie, un'attrice in piena interrogazione, lei stessa alla ricerca del suo cavallo… e di un senso. Ma alla fine, non è la ricerca in sé il significato? E possiamo vivere senza raccontare storie?

Lucie perd son cheval fa parte di un doppio contesto, quello dell'opera cinematografica di Claude Schmitz, e quello della chiusura dei teatri. Mentre provava la sua nuova commedia, Un Royaume, un'opera già ibrida, che mescola performance teatrali e video, incombeva la minaccia della reclusione. Molto arguti quelli che sanno se, quando e come riapriranno i teatri.

C’è da dire che Un Royaume doveva essere rappresentato al Théâtre de Liège, dal 14 al 18 ottobre, ma il tour è stato posticipato. E il progetto si presenta in forma cinematografica con questo lungometraggio atipico, che dipinge un ritratto della sua eroina e mette in discussione la sua pratica.

Troviamo anche gli accenti di verità già palpabili nei mediometraggi dell'autore. Lucie è incarnata e creata dall'attrice Lucie Debay, è la sua esperienza che condivide, sua figlia, sua nonna, la sua vita e, sicuramente, le sue domande. Questo inizio iperrealistico non impedisce alla storia di vagare con gusto per strade secondarie. Lucie mette in dubbio il suo status e il suo lavoro, sia combattendo che vagando. Il costume, che funge da travestimento, permette di fare un passo indietro, e dare libero sfogo ai pensieri e alla fantasia.

Lucie perd son cheval è prodotto dal Théâtre de Liège (Belgio), dove è stato messa in scena lo spettacolo originale, e Les Films de l’autre cougar in Francia, con il sostegno di RTBF.

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(Tradotto dal francese)

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