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SALONICCO DOCUMENTARI 2021

Recensione: The Count

di 

- Jon Blåhed mette le mani in pasta ovunque, perdendo il suo protagonista lungo la strada

Recensione: The Count

Alcuni dicono che quando si racconta una storia, si dovrebbe innanzitutto esporre le parti più interessanti, in modo tale da catturare l’interesse del pubblico senza mai lasciarlo andare. Ed è esattamente quello che fa Jon Blåhed in The Count, proiettato al Festival del documentario di Salonicco, che si apre con menzioni succulente di psicopatici, assassini e crimini di colletti bianchi, rendendo il tutto decisamente scandaloso persino prima di affermare che il film è, di fatto, la storia del cugino di suo padre. Il problema è, che esaurisce l’entusiasmo piuttosto in fretta. E anche se ciò che esplora è innegabilmente sconcertante, per quanto possa sembrare strano, non è in realtà molto coinvolgente.

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Questo accade probabilmente perché nonostante il film inizi in maniera così notevole, il cattivo del titolo – che è morto nel 2007 – non era poi così appariscente. Egli rimane estraneo durante tutte le chiacchiere, e sebbene Blåhed condivida molti dei suoi vari trucchetti, non si avvicina mai veramente. È quasi come se potesse percepirlo, e poi comincia a tirar fuori diversi giochi: dal far sedere i suoi ospiti in una sorta di vuoto bianco alla Matrix al riportare all’attualità ricostruzioni poliziesche dei crimini passati. Ad un certo punto compare anche l’attrice Eva Melander, quando la situazione sembra essere già un tantino affollata, e il Conte stesso scompare, proprio come ha fatto per tutta la sua vita.

È un peccato, poiché tutto ciò sarebbe adatto per un trattamento realizzato a regola d’arte, o almeno per il tipo di intrattenimento “guilty pleasure” che il programma SNL ha recentemente deciso di parodiare nel suo sketch Murder Show (“Due sorelle sono state uccise in crociera nelle Bahamas, gli darò un’occhiata mentre piego il mio pigiama,” è andata più o meno così). Dal suicidio di suo padre all’adottare un nome russo, e quel falso titolo, o le atroci storie sulla morte delle sue fidanzate, c’è molto materiale da analizzare qui, e forse un programma televisivo di criminologia, con la sua durata più lunga, potrebbe in realtà funzionare meglio. In tal modo invece, il film dà soltanto un senso di essere sotto pressione, e non è minimamente “agghiacciante” come inizialmente era stato promesso.

L’ambizione di Blåhed e la sua insistenza nel voler sovrapporre diversi argomenti francamente rappresentano un ostacolo – invece di focalizzarsi soltanto sull’uomo che ha fatto sentire la sua intera famiglia, beh, piuttosto a disagio, si domanda inoltre perché alle persone piace ascoltare terribili storie su fatti realmente accaduti, con cliché del tipo “ognuno ha un lato oscuro” che spuntano fuori di qua e di là. Cerca anche di sedersi e di rifletterci da solo, mentre lo racconta a degli estranei, e questa potrebbe essere soltanto una mia opinione, ma per quanto possano essere educati, essi sembrano piuttosto annoiati, ciò fa rimpiangere loro il fatto che, alla fine, non è soltanto una storia che parla del cugino di suo padre.

The Count è stato prodotto da Tony Osterholm e da Andreas Emanuelsson per la società svedese Iris Film AB.

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(Tradotto dall'inglese da Ilaria Croce)

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