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CROSSING EUROPE 2021

Recensione: All-In

di 

- Seguendo due lavoratori stagionali in un hotel turco all-inclusive, il regista Volkan Üce offre un documentario adatto al grande pubblico che affronta alcuni temi di attualità

Recensione: All-In

Il titolo del secondo lungometraggio documentario di Volkan Üce può sembrare a prima vista sul gioco d'azzardo, e sebbene derivi dall'ambientazione del film - un hotel all-inclusive sulla costa meridionale della Turchia - tratta  in realtà dell'investire se stessi in un lavoro. All-In [+leggi anche:
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scheda film
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ha avuto la sua premiere mondiale al CPH:DOX, ed è stato proiettato la settimana scorsa sia al Crossing Europe di Linz che al Biografilm di Bologna.

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I protagonisti, Hakan e Ismail, sono tra le migliaia di lavoratori stagionali  impiegati in questi resort, e li incontriamo entrambi al loro primo colloquio con il responsabile delle risorse umane, Alper. Ismail ha solo 18 anni e guardandolo si capisce che è ancora solo un ragazzino. Sebbene sia un parrucchiere di formazione, viene assunto in cucina, al livello più basso: ritirare il cibo, preparare la zuppa e affettare il kebab.

Hakan ha 25 anni e dice ad Alper che vuole un lavoro in un hotel perché lo aiuterà a imparare l'inglese, con l'idea di andare negli Stati Uniti per fare un film e superare l'ansia sociale che ha sviluppato stando a casa per anni, a guardare film e leggere libri. Viene assunto come bagnino, con un ruolo nel parco acquatico del resort, responsabile degli scivoli, uno dei luoghi più frequentati durante l'intera giornata.

All'inizio entrambi i ragazzi, provenienti da piccoli villaggi, sono affascinati dal lusso, dall'attività costante e da tutti quegli ospiti colorati provenienti da tutto il mondo... Beh, in realtà, principalmente dalla Russia, dal Regno Unito e dai Paesi arabi. Questo dà all'occhio stregato di Ismail l'idea che altri paesi siano più belli da vivere perché gli stranieri sono così educati con lui, a differenza dei turisti locali che si lamentano di continuo.

Hakan, invece, è deluso quando gli ospiti russi non rispondono al suo desiderio di discutere di Dostoevskij e Puškin. Né lui né loro parlano davvero inglese, ma basta un atteggiamento arrogante per far crollare qualsiasi idea romantica. È qui che inizia a chiedersi se questo lavoro gli stia dando qualcosa, e per una persona riflessiva e sensibile come Hakan, un'idea del genere può trasformarsi in ansia e insicurezza.

All-In è un film molto vicino al pubblico, con la sua ambientazione dinamica e il tono spensierato della sua prima parte. Tocca molte questioni stimolanti e di attualità, come il divario di classe all'interno di un contesto specifico, la gig economy, la globalizzazione e l'alienazione. Ma è grazie alla azzeccata scelta dei protagonisti che quasi ogni spettatore troverà facile relazionarsi con uno o entrambi. Perché il film scava in profondità sotto la superficie lucida del resort.

L'esperto e versatile direttore della fotografia Joachim Philippe fornisce con sicurezza una visione onnicomprensiva della vita nel resort, spesso cogliendo piccoli momenti comici o leggermente malinconici che infondono al quadro più ampio una precisa sensazione del qui e ora. Els Voorspoels monta con un ritmo veloce e molto fluido, consentendo, allo stesso tempo, a diverse scene di conversazione tra lo staff di progredire giusto il tempo necessario per avvicinarci ai protagonisti. Il ponte tra il secondo e il terzo atto, però, quando l'atmosfera cambia, sembra poco regolare e un po' affrettato. Infine, la colonna sonora prevalentemente elettronica di David Boulter e Darius Timmer costruisce un'atmosfera spensierata che non si trasforma mai completamente in uno stato d'animo pessimista – e la fine del film sembra far riflettere, piuttosto che deprimere.

All-In è coprodotto dalle società belga Cassette for Timescapes, Magellan Films e Onomatopee Films, l’olandese' HALAL e la francese Little Big Story. CAT&Docs si occupa dei diritti internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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