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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: Fulci Talks

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- Il documentario di Antonietta De Lillo è il ritratto inedito di un grande artigiano del cinema, il maestro dell’horror Lucio Fulci, diventato punto di riferimento per una generazione di registi

Recensione: Fulci Talks
(© Alessia Bulgari)

Poète du macabre? Maître de l’horreur? Godfather of gore, come era chiamato negli anni Ottanta? La migliore definizione del cinema di Lucio Fulci è quella che dà lui stesso nel documentario Fulci Talks [+leggi anche:
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di Antonietta De Lillo: “La mia opera è incoerente, e ne vado fiero”.

“Impossibile scrivere la sua biografia perché da quanto racconta risulta che ha 600 anni e ha esercitato ogni professione, risiedendo in ogni luogo compresa Atlantide”, si leggeva in un Dizionario dei registi del 1961 citato da Marcello Garofalo nella prefazione del magnifico libro di Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore, “Il terrorista dei generi”. Un titolo che è forse la definizione più vicina all’approccio di questo maestro alla commedia, al thriller, agli spaghetti western, all'horror.

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Marcello Garofalo è il critico che nel giugno del 1993 a Roma registra con Antonietta De Lillo una lunga conversazione con Fulci, che oggi, a quasi 30 anni di distanza, ci regala un materiale raro e prezioso, un documento storico, puro, complesso, esauriente. Il ritratto inedito di un grande artigiano del cinema, delineato negli anni in cui la critica finalmente riconosce alle sue opere lo status di film cult, Film che saranno punto di riferimento per i giovani spettatori e per un'intera generazione di registi. Quentin Tarantino, Nicolas Winding Refn, Eli Roth hanno ammesso - come testimonia Fabio Frizzi, compositore e collaboratore di Fulci - una autentica venerazione per il maestro e ogni giorno Fulci, morto nel 1996, viene riscoperto da decine di emuli e migliaia di nuovi spettatori. Dopo l’inizio con la commedia e dopo il western Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro (1967), Fulci inizia la sua produzione più significativa con Beatrice Cenci (1969), Non si sevizia un paperino (1972), Sette note in nero (1977) e i classici del thriller e horror come Zombi (1979), Quella villa accanto al cimitero (1981) e Lo squartatore di New York (1983).

In Fulci Talks non ci sono spezzoni dei suoi film, né immagini dai set (tranne in coda). Vediamo lo sfondo di un muro bianco in penombra alle spalle del regista, vestito di nero, seduto su una sedia a rotelle. Su un altro muro, illuminato, si proietta l’ombra hitchcockiana di Fulci, mentre sulla sinistra una metafisica scala bianca in penombra sembra salire verso il nulla (è un angolo di casa De Lillo). Nel montaggio la regista ha lasciato brevissimi “fuori onda” in cui appare la personalità del regista, pacato ma padrone della situazione, uomo colto e dall’ironia tagliente, mordace. Fulci parla del suo cinema e del cinema che ama, incalzato dalle domande di Garofalo e della regista. Momenti di riflessione alta e aneddoti divertenti su un cinema artigianale che innalza templi alla fantasia e per questo sublime. E subliminale. Catartico. “L’horror è pura idea, spazia nell’assoluto. È anarchico, perché non ha basi morali su cui poggiare”. Infatti nell’horror di Fulci c’è sempre un che di liberatorio e beffardo. “La differenza tra me e gli altri? L’ironia. Mantenere la giusta distanza. Vado in barca a vela al posto di andare dallo psicoanalista, e lo consiglio ai colleghi”. L’antagonismo con Dario Argento gli pesa: “Vive chiuso nei suoi incubi”. Garofalo riconosce ai film di Fulci follia, umorismo, sfacciataggine, crudeltà, provocazione, e individua le chiavi del suo cinema: il dubbio e il peccato. “Io sono un mito”, scherza con orgoglio.

La selezione del materiale d’archivio di Fulci Talks è di Fabrizio D’Alessio, montaggio e VFX di Elisabetta Giannini. Prodotto da Marechiarofilm, il documentario è on demand sulla piattaforma CG Digital e su Chili da oggi 10 marzo, dopo l’anteprima assoluta al 30° Noir in Festival.

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