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MILLENNIUM DOCS AGAINST GRAVITY 2020

Recensione: Once upon a Time in Poland

di 

- Vít Klusák e Filip Remunda esaminano le sfumature del cattolicesimo polacco in questo documentario divertente e leggermente inquietante, presentato in anteprima al 17° Millennium Docs Against Gravity

Recensione: Once upon a Time in Poland

La religione cattolica e la vita quotidiana in molte città e case polacche convivono. La messa domenicale e i sermoni influenzano i pensieri e le parole delle persone, o addirittura i loro voti. Radio Maryja, l’emittente radiofonica di Padre Rydzyk, è una delle più popolari e uno spirito guida per molti. Dato questo stretto rapporto con la religione, è difficile per i registi polacchi approcciarsi al tema con una prospettiva più ampia o mantenendo qualsiasi tipo di distanza.

Fanno il loro ingresso i cechi. Nei titoli di apertura di Once Upon a Time in Poland [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
, presentato in anteprima al 17° Millennium Docs Against Gravity Film Festival di Varsavia, i registi Vít Klusák e Filip Remunda (Czech Dream) affermano che la loro nazione è la più atea d’Europa, mentre i loro vicini – i polacchi – sono i più cattolici. Ma i due registi non attraversano semplicemente il confine e iniziano le riprese; essi seguono anche un’altra troupe cinematografica condotta dall’adorabile e piuttosto impacciato Karel (il titolo originale del film era Jak Buh hledal Karla, o How God Looked for Karel). La sua piccola crew è composta da un direttore della fotografia, un fonico e un interprete polacco-ceco.

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Ricchi di curiosità, schiettezza e molto coraggio, sono andati nelle chiese polacche, hanno partecipato a grandi eventi religiosi e pellegrinaggi ed hanno assistito allo spettacolo teatrale Course di Oliver Frljic, considerato blasfemo e che ha provocato violente proteste. Hanno anche visitato la casa di un’ultrareligiosa madre di due figli. Karel è apparentemente il più coinvolto in questa missione di ricerca di una connessione con Dio, poiché, dopo che sua moglie lo ha lasciato, spesso si sente solo. I membri della sua crew condividono costantemente le loro opinioni, e guardare le dinamiche del gruppo è divertente e non è peccaminoso, al contrario di alcune scene che coinvolgono i parroci o i loro seguaci.

Il film ci mostra chiaramente che cattolici e atei, o forse anche polacchi e cechi – almeno da quanto si evince dalla rappresentazione data da Klusák e Remunda – sono molto diversi quando si tratta di affrontare argomenti complessi o impegnativi. I cechi sono diretti e non hanno timore nel fare domande, mentre i polacchi preferiscono evitarle e si esprimono attraverso cliché sentiti in chiesa o imparati a scuola dai membri del clero. Ci sono delle eccezioni: Karel e il suo gruppo incontrano anche parroci “buoni” (per così dire) che dimostrano che la religione può essere un pilastro spirituale importante nella vita delle persone.

Tuttavia, Once upon a Time in Poland non è solo satira; mostra anche il modo in cui la religione influenza la scena politica e sociale polacca, e rivela che la chiesa locale ha molto sulla coscienza. I registi, inoltre, indicano un paradosso: uno dei riti cattolici più importanti è la confessione dei peccati e la contrizione, eppure il clero polacco piuttosto rimane in silenzio o chiude un occhio. Probabilmente questo film non cambierà la situazione, ma può far ridere la gente, il che si rivela sempre utile in situazioni disperate.

Once upon a Time in Poland è una coproduzione ceco-slovacco-polacca guidata da Jana Brožková e Zdenek Holy/Vernes sro, e coprodotta da Hypermarket Film, Czech Television, Plesnar & Krauss Films, Krakow Festival Office e Peter Kerekes. Il City Cultural Centre di Bydgoszcz è un partner della produzione. I diritti di vendita mondiali non sono ancora stati assegnati.

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(Tradotto dall'inglese da Chiara Morettini)

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