email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

PRODUZIONE / FINANZIAMENTI Svizzera

Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski in fase di postproduzione con Aya

di 

- Il primo lungometraggio del duo formato da Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski, omaggia l’umano attraverso il tema dell’esilio

Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski in fase di postproduzione con Aya
Un'immagine promozionale di Aya

Malgrado la non certo facile situazione attuale causata dalla pandemia di Covid19, i registi Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski sono riusciti a terminare le riprese del loro primo toccante lungometraggio a quattro mani Aya [+leggi anche:
recensione
scheda film
]
. Attualmente alla ricerca di finanziamenti che gli permettano di finalizzare la fase di postproduzione e di un distributore, Aya si preannuncia come un film forte che apre gli occhi su di un mondo tristemente relegato ai margini, nel quale l’umano si tinge di poesia e solidarietà.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Lorenzo Valmontone si è fatto conoscere dal pubblico internazionale grazie all’emozionante documentario Jumping the Shadows [+leggi anche:
recensione
trailer
scheda film
]
, girato in duo con il regista Steven Blatten e selezionato nel 2015 a Visions du réel e successivamente alle Giornate di Soletta (2016). Con Jumping the Shadows Valmontone metteva già in scena un personaggio intriso di un’umanità a fior di pelle, magnificamente atipico e struggente di verità. Con il loro documentario Aya, prodotto dalla giovane casa di produzione ginevrine Take Time Films, Lorenzo Valmontone e Thomas Szczepanski (L’Inclinaison des chapeaux [+leggi anche:
recensione
scheda film
]
) continuano sulla stessa strada mettendo questa volta in scena con coraggio e sincerità personaggi ai margini che, come nel caso di Jumping the Shadows, la società preferisce ignorare perché lontani anni luce dal glamour illusorio che ama glorificare.

Aya è la storia di due personaggi alla deriva, Aya e Zimako, che cercano di sopravvivere tra speranza e fatalità. La città di Calais fa da sfondo alla loro esistenza, un no man’s land nel quale crisi migratoria e malessere sociale dominano sovrani. Filmato nell’urgenza, Aya ci confronta con una verità scomoda, il rovescio della medaglia di una società che preferisce sotterrare i problemi sotto la sabbia. Calais si trasforma attraverso la loro cinepresa in villaggio fantasma che ricorda il Far West, un luogo senza tempo abitato da un’umanità fantasma che non può permettersi il lusso di sognare un futuro migliore, imprigionata in un presente marcato dalla lotta per la sopravvivenza.

Dominata dalla presenza visibile-invisibile dei migranti, da un vento che non da tregua e da improbabili turisti che sembrano capitati lì per caso, Calais si trasforma in universo parallelo dal quale è impossibile fuggire. Alla periferia di questo decoro apocalittico si innalzano con violenza le torri della ZUP Beau-Marais, sorta di mostri di cemento dal corpo minaccioso. È qui che vivono Lydia, cinquantenne dalla personalità a fior di pelle e Zimako, un migrante clandestino togolese che ha trovato rifugio a casa sua. Tra quotidianità e lotta per la sopravvivenza, Lydia e Zimako si svelano poco a poco davanti alla cinepresa, raccontano la loro vita senza censure, la glorificano in tutta la sua crudele bellezza. Valmontone e Szczepanski riescono a cattura la luce che si nasconde nell’oscurità di due esistenze marcate da un passato spietato e da un futuro a dir poco incerto. In questo luogo ai margini della società, poetico e strabordante di sincerità, il nostro duo di registi cattura la vita in tutta la sua paradossale verità, al contempo fragile e grandiosa, crudele e benevola.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy