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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: La volta buona

di 

- Vincenzo Marra racconta il sottobosco del calcio e la compravendita di giovani promesse in questa commedia dolceamara con Massimo Ghini, tra i primi film italiani in sala dopo la riapertura

Recensione: La volta buona
Ramiro Tomas Garcia e Massimo Ghini in La volta buona

“Guarda che ‘sto ragazzo è un fenomeno! - E se je cambia il fisico e me diventa ‘na pippa?”. Scambi di questo genere sono all’ordine del giorno per Bartolomeo, lo sfortunato procuratore sportivo protagonista dell’ultimo film di Vincenzo Marra, La volta buona [+leggi anche:
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. Una commedia dolceamara che si immerge nel sottobosco del calcio professionistico e si concentra sulla compravendita di giovani promesse provenienti da paesi lontani, un esercito di ragazzini strappati alle loro famiglie povere con la speranza di diventare ricchi campioni e di cui solo uno su mille ce la fa.

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Assediato dai debiti di gioco, con una figlia piccola che non è in grado di mantenere e una ex moglie molto arrabbiata, Bartolomeo (Massimo Ghini) è alla ricerca forsennata di un nuovo talento del calcio che gli permetta di svoltare, e lo va cercando tra i giovani africani immigrati in Italia, appena adolescenti, venduti dai propri genitori fortemente disagiati per pochi soldi. Ma è dall’Uruguay che potrebbe arrivare la pepita d’oro. Il suo vecchio amico ed ex collega Bruno (Max Tortora), rifugiatosi nel paese sudamericano per sfuggire anche lui ai debitori, lo chiama per un grosso affare: si chiama Pablito (Ramiro Tomas Garcia), ha 12 anni e sembra un piccolo Maradona. E così, con gli ultimi soldi che gli rimangono, Bartolomeo vola a Montevideo.

L’incontro dopo tanti anni tra i due loser richiama atmosfere monicelliane (fu lo stesso Monicelli a incoraggiare Marra a fare questo film) e della migliore commedia all’italiana. “Entra, e nun dì niente”, avverte Bruno quando porta per la prima volta Bartolomeo in casa sua (una catapecchia) svelandogli le reali condizioni della sua nuova vita. Nessuno dei due ha un soldo – e i pochi che hanno se li giocano ai cavalli – ma con la forza della disperazione riusciranno comunque a trovare una soluzione per portare Pablito in Italia. Il ragazzino, però, è molto piccolo di statura e avrebbe bisogno (come Messi a suo tempo) di costose cure mediche. Ora che ha 12 anni è un fenomeno, ma crescendo potrebbe non esserlo più e diventare solo un peso.

Più piani si intrecciano in questo interessante spaccato del mondo del calcio raccontato in modo asciutto e coerente: le frustrazioni e i fallimenti della vita, la paternità, lo sfruttamento di quelli che sono poco più che bambini, lo sradicamento e la nostalgia di casa, e un grande, terribile dilemma che Bartolomeo dovrà affrontare. Su migliaia di bambini che emigrano per fare i calciatori, solo pochi arrivano al calcio professionistico, e la maggior parte di queste storie finisce con l’abbandono dei tutor e la clandestinità. In alcuni casi, si tratta di decidere persino della futura salute fisica di un bambino, di scommettere sulla sua stessa vita. Un mondo di squali, chi per necessità e chi per mancanza totale di scrupoli (vedi il manager incarnato da Francesco Montanari), che getta una luce inquietante sulla fabbrica dei Palloni d’oro.

La volta buona è prodotto da Marco Belardi per Lotus Production e da TIMVision in associazione con AltreStorie, che lo distribuisce pure. Il film, che doveva uscire lo scorso marzo dopo il debutto alla 14ma Festa del cinema di Roma - Alice nella Città, poi bloccato dalla pandemia, approda finalmente nelle sale oggi, 12 luglio.

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