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CPH:DOX 2020

Recensione: We Hold the Line

di 

- Il documentario con una punta di thriller del regista tedesco Marc Wiese segue una giornalista indipendente minacciata dalla dittatura del presidente filippino Rodrigo Duterte

Recensione: We Hold the Line

"Sarà sanguinoso. Sarà una dittatura", assicura Rodrigo Duterte nel 2015, alla vigilia delle elezioni presidenziali nelle Filippine, alla giornalista Maria Ressa, protagonista principale di We Hold the Line [+leggi anche:
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, l'ultimo documentario del regista tedesco Marc Wiese, che ha vinto il premio F:act al CPH:DOX di quest'anno.

Quattro anni dopo, circa 25.000-30.000 persone sono state uccise durante la guerra alla droga di Duterte, e Ressa viene arrestata all'aeroporto mentre ritorna da New York, dove ha partecipato alla conferenza Time 100 tra i giornalisti nominati come Persona dell’anno 2018 dalla rivista. Lei e la sua influente testata indipendente, Rappler, sono state minacciate e perseguitate sia nella vita reale che online dal sistema del dittatore e da un esercito di troll per la loro copertura critica.

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Chiaramente, quello di Duterte non era il semplice discorso populista dell’uomo forte che molti leader di destra in tutto il mondo usano per ottenere voti – lo intendeva alla lettera. La sua politica "anti-droga" è ben nota e, come si è visto recentemente nel titolo dell’IDFA Aswang [+leggi anche:
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, è da un lato molto lontana, per esempio, dalla guerra di Reagan alla droga negli anni '80, in quanto il leader filippino non solo prende di mira i trafficanti e gli spacciatori, ma uccide direttamente i consumatori di droga. Da un altro lato, tuttavia, l'inevitabile connessione tra lo Stato e il crimine organizzato è qualcosa che accomuna l'esempio americano e quello di Duterte. Un senatore intervistato nel film di Wiese, il cui ufficio è dotato di tende e vetri antiproiettile, suggerisce che il figlio di Duterte, Mario, potrebbe essere una figura chiave nel traffico di droga, trasferitosi dalla città portuale di Davao, di cui l'attuale presidente era il sindaco, direttamente a Manila quando quest'ultimo è salito al potere.

Il documentario di Wiese, simile a un thriller, copre un vasto campo attraverso sei intervistati soltanto. Oltre al senatore, Ressa e un altro giornalista di Rappler, tre assassini, nascosti dietro le maschere, che lavorano da soli o appartengono a uno degli squadroni della morte che non sono ufficialmente collegati alla polizia ma sono effettivamente controllati e pagati dal governo, rivelano dettagli brevi ma molto specifici sui loro metodi e sul sistema di cui fanno parte.

Il film ha un aspetto un po' frammentario a causa della grande varietà di protagonisti, ma la stessa Ressa funge da tessuto di collegamento tra i vari segmenti. Giornalista esperta, intransigente e totalmente dedita, parla con calma e chiarezza nonostante la guerra psicologica a cui sono sottoposti lei e i suoi colleghi di Rappler.

We Hold the Line ha una distinta atmosfera da thriller, costruita attraverso una combinazione di interviste e scene drammatiche dalle strade di Manila, sia filmate direttamente per questo documentario, sia trovate su nastri di sorveglianza o sugli smartphone di testimoni di vari eventi sanguinosi. La colonna sonora pulsante di Hannes Bieber, che include anche l’inquietante improvvisazione elettronica "Glass" di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, svolge un ruolo cruciale nell'aumentare la sensazione di urgenza dell'argomento. Oltretutto, la dimensione del documentario, e quindi la percezione da parte dello spettatore dell'importanza della materia, è rafforzata non solo dalla statura giornalistica di Ressa, ma anche dalla sua testimonianza di fronte al Grand Committee internazionale su Big Data, Privacy e Democrazia del Parlamento canadese.

We Hold the Line è una produzione della berlinese Dreamer Joint Venture Filmproduktion; la compagnia tedesca Magnetfilm detiene i diritti internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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