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ONE WORLD PRAGUE 2020

Recensione: Self Portrait

di 

- I cineasti norvegesi Margreth Olin, Katja Høgset e Espen Wallin raccontano una storia toccante e che fa riflettere su una fotografa che soffre di anoressia

Recensione: Self Portrait

La fotografa norvegese Lene Marie Fossen è il soggetto di Self Portrait, un documentario co-diretto da Margreth Olin, Katja Høgset ed Espen Wallin, che è stato distribuito nelle sale norvegesi a gennaio, è stato presentato in anteprima internazionale a Göteborg e recentemente è stato proiettato nel Concorso Internazionale del One World International Human Rights Documentary Film Festival a Praga.

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Lene soffre di anoressia dall'età di dieci anni e, quando sono iniziate le riprese, aveva 28 anni. All'inizio del documentario, spiega in voice-over che non voleva crescere e che non ha mai vissuto la pubertà, giacché il suo disturbo ha bloccato il suo sviluppo fisico. Il risultato è evidente: è una donna minuscola, scheletrica, con una faccia emaciata e denti da cavallo, una presenza strana, inizialmente persino spaventosa, ma alla fine affascinante verso la quale lo spettatore sviluppa un inevitabile affetto.

Durante la sua infanzia, Lene è stata ricoverata in ospedale sette volte e dice che i suoi genitori si erano quasi arresi. Ma quando ha scoperto di avere un talento per il ritratto fotografico, per la prima volta ha cominciato sinceramente a voler migliorare e ha trovato la speranza per il futuro. "Mi sono resa conto che fotografando posso fermare il tempo", afferma.

Sull'isola di Chios in Grecia, Lene ha trovato un vecchio ospedale per lebbrosi, abbandonato e decisamente inquietante. È qui che, con l'aiuto di sua madre, ha realizzato splendidi autoritratti in bianco e nero che hanno attirato l'attenzione del famoso fotografo norvegese Morten Krogvold. Quest'ultimo l’ha presa così sotto la sua ala e ha portato le sue opere al prestigioso Nordic Light Festival, dove ha avuto un successo immediato. Poco dopo, il nome di Lene stava per diventare famoso a livello internazionale, poiché la più grande galleria scandinava, la Fotografiska di Stoccolma, aveva espresso interesse nei suoi confronti. Ma la sua ascesa è stata interrotta da un incidente d'auto, in cui si è fatta male al collo, rendendola incapace di lavorare e spedendola in una spirale di depressione e tendenze suicide.

Quando le cose iniziano a migliorare per Lene, sembra che Self Portrait debba convertirsi in un documentario ispiratore sulla protagonista che sconfigge il suo disturbo attraverso l'arte. Ma risulta essere una storia molto più toccante, che fa riflettere su una malattia spesso mal compresa e su come essa vada di pari passo con il suo lavoro. Come dice Krogvold, Lene ha "un sole nero" dentro di sé, che è la forza trainante della sua arte. Ma quest’ultimo continua a insistere, così come la fotografa stessa – e i cineasti ne fanno un punto cruciale – che Lene non debba essere definita dalla sua anoressia e che il suo lavoro andrebbe considerato in sé.

È un proposito che fa riflettere, però. Mentre le foto di Lene sono decisamente notevoli, sia quelle dei volti stagionati degli anziani abitanti di Chios che quelli dei bambini rifugiati da Lesbo, quelle con cui è esplosa – i suoi autoritratti – sono speciali a causa del suo aspetto singolare, oltre che al suo innegabile talento per la composizione, l'ambientazione e l'illuminazione.

Formalmente, Self Portrait è un documentario su una persona basato su interviste che vengono principalmente utilizzate come voci fuori campo, combinando filmati di varia qualità e provenienti da diverse fonti e periodi di tempo. Le riprese sono durate cinque anni e con tre direttori della fotografia, tra cui il co-regista Wallin, un fotografo che ha collaborato con Lene. Ma i suoi lavori sono così potenti che sono questi a rimanere con lo spettatore, insieme alle immagini difficili e alle testimonianze nel terzo atto del film.

Self Portrait è una produzione della norvegese Speranza Film AS, e la compagnia israeliana Cinephil detiene i diritti internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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