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BERLINALE 2020 Panorama

Recensione: Black Milk

di 

- BERLINALE 2020: La sceneggiatrice, regista e attrice Uisenma Borchu usa la storia di una donna che torna da sua sorella in Mongolia per parlare di imperialismo culturale

Recensione: Black Milk
Uisenma Borchu e Gunsmaa Tsogzol in Black Milk

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, il secondo film della regista-sceneggiatrice-attrice Uisenma Borchu (Don't Look at Me That Way [+leggi anche:
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, 2015), è una storia sull’eredità culturale e il desiderio che riesce a decostruire il patriarcato mettendo in luce il senso di estraneità che provano gli immigrati in Europa e i loro figli. Approdata nella sezione Panorama del Festival di Berlino, Borchu può aggiungere il suo nome alla lista dei cineasti della 70ma Berlinale che hanno realizzato i film più emozionanti (Mogul Mowgli [+leggi anche:
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) sul tema della doppia coscienza che siano mai apparsi nello stesso programma in un singolo festival cinematografico. E non è un caso che ciò sia accaduto in un momento in cui i cineasti che hanno conosciuto questo tipo di alienazione sono più numerosi e raccontano le loro storie.

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Una donna mongola vestita con un costume tradizionale ci guarda dritto negli occhi, con il deserto del Gobi sullo sfondo, da una fotografia incorniciata accanto al letto di Wessi (la sceneggiatrice-regista interpreta il personaggio ispirato a se stessa). Segue una scena di sesso con la star di Victoria [+leggi anche:
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Franz Rogowski, in cui la donna decostruisce brillantemente la sua vita in Germania, il dominio del genere maschile e il rifiuto quasi coloniale di andare a trovare sua sorella in Mongolia, paese che ha lasciato quando era piccola.

Il fatto che Wessi finisca comunque per andare in ​​Mongolia è un segno della sua forza interiore e determinazione, attributi che saranno un vantaggio ma anche un ostacolo. La donna nella foto è sua sorella Ossi (Gunsmaa Tsogzol – tutti gli attori sono non professionisti e persone che la regista conosce). Il punto in cui il film eccelle davvero è la rappresentazione di come Wessi cerchi di integrarsi nel suo paese natale. Ciò che sorprende è quanto sia tedesca. Wessi vuole immergersi nella cultura mongola, ma in termini sorprendentemente tedeschi. Il suo atteggiamento ricorda la rappresentazione di Nina Hoss della scrittrice tedesca Corinne Hofmann in The White Masai [+leggi anche:
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, ma con un livello di complessità in più giacché Wessi è nata in quella cultura che non rappresenta più. Aggiungete a ciò il fatto che Wessi si innamora dello strano uomo solitario Terbish (Terbish Demberel) da cui sua sorella la mette in guardia, e avrete una visione combustibile e confusa del mondo: una visione che mostra il potere dell'imperialismo culturale e quanto sia profondamente radicato. Anche le scelte di abbigliamento vanno in questa direzione.

Una narrazione in voiceover stona con tutto il resto e gioca con le prospettive, e l'uso dell'allegoria a volte lascia poco all'immaginazione, specialmente quando si tratta di capre e cavalli. La scena dello stupro è forse girata in modo troppo ambiguo per avere l'impatto che dovrebbe. Ciò che resta senza dubbio è che la forza del patriarcato è ovunque e le sorelle iniziano a influenzarsi a vicenda in modi inaspettati, parlando di bellezza, fantasie e infatuazione. La fotografia di Sven Zellner cattura il vasto paesaggio e la bellezza, ma offre anche una visione più oscura e più grezza di una terra che è così spesso romanticamente filmata.

Black Milk è un'opera che confonde le aspettative e lascia intravedere la miriade di influenze presenti nella vita di Wessi. È una prospettiva unica al cinema, ma è sicuramente familiare alle tante persone che si sentono straniate a causa della loro eredità, che hanno un piede in due barche diverse che sembrano viaggiare in direzioni opposte.

Black Milk è una coproduzione tedesco-mongola. È un film di Nine Film e Alpenrepublik Filmverleih prodotto da Zellner und Borchu Film GbR, in coproduzione con Bayerischer Rundfunk e Gunsmaa Tsogzol. Nine Film cura le vendite internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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