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BERLINALE 2020 Forum

Recensione: Victoria

di 

- BERLINALE 2020: Sofie Benoot, Liesbeth De Ceulaer e Isabelle Tollenaere ritraggono in modo compassionevole l'incontro tra i moderni pionieri di Los Angeles e le terre desertiche di California City

Recensione: Victoria
Lashay T. Warren in Victoria

Degni di particolare nota tra i più recenti documentari sugli Stati Uniti, realizzati da registi europei, sono Below Sea Level dell’italiano Gianfranco Rosi, Pine Ridge [+leggi anche:
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della svedese Anna Eborn e Lillian [+leggi anche:
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dell'austriaco Andreas Horvath – quest’ultimo caratterizzato dalla narrazione fortemente drammatica. Questa tecnica cinematografica ibrida viene esplorata anche in Victoria [+leggi anche:
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intervista: Liesbeth De Ceulaer, Isabe…
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, una co-produzione dei registi belgi Sofie Benoot, Liesbeth De Ceulaer e Isabelle Tollenaere. Il film è presentato in anteprima nella sezione Forum della Berlinale 2020.

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“Da Los Angeles a queste strade desertiche. Per ricominciare da zero. Crescere i ragazzi. Vivere una vita da sballo”. Lashay T. Warren, venticinquenne sposato e padre di quattro figli, ha lasciato i degradati sobborghi di Compton per California City, un mondo completamente diverso situato a 100 miglia a nord di Los Angeles. L’uomo ha condotto la propria famiglia in questa città e qui si è iscritto al KSACC (Kern Service and Conservation Corps), un programma dedicato a giovani indigenti in grado di offrire opportunità di formazione (come ad esempio lezioni quotidiane), di crescita personale per approcciarsi all’età adulta e, infine, di vicinanza alla natura.

Superato lo schock culturale iniziale, Lashay inizia piano piano a guardarsi intorno: osserva, assimila, comincia ad osservare in prospettiva il proprio passato a Los Angeles e a trascrivere i propri pensieri in forma di diario – i quali verranno rivelati nel corso del film. “Non possiamo arrivare a piedi dappertutto. Qui ogni cosa è lontana”. Ciò nonostante, Lashay cammina molto – il programma, infatti, include anche la manutenzione delle strade – e costruisce il proprio percorso senza seguire le strade di questa desolata e desertica città fantasma. Prende anche qualche scorciatoia, a volte per necessità, altre volte – e sempre più frequentemente – per curiosità. Curiosa è, di certo, California City, il luogo e il personaggio principale con il quale Lashay, la sua famiglia e i suoi nuovi amici devono interagire. Terza città della California per estensione (dopo Los Angeles e San Diego, ma più grande di San Francisco), fu progettata negli anni ’60 da un professore di sociologia in qualità di città gemella di Los Angeles, per essere abbandonata poco tempo dopo.

Nel film i tre registi seguono questi nuovi coloni senza fretta e con riguardo, immortalando il loro viaggio – sia fisico che interiore – con compassione e ottimismo. Durante le lezioni, i membri del KSACC parlano dei pionieri che nel XIX secolo attraversarono quei territori, riportando alla mente come essi stessi – per molti versi – siano moderni pionieri: “una persona che si sposta a piedi, che conosce il territorio” è la definizone che uno di loro dà di questo termine. “Persona” può essere considerata un’altra parola chiave, poiché i nostri giovani amici emergono in quanto tali nel corso del film – in quanto esseri umani considerati individui. Per quanto riguarda Lashay, inizia a conoscere il luogo in cui si trova, offrendo un’anima alla città; se avrà successo in questo intento, sarà almeno più di quanto sia riuscito a un professore di sociologia; anche questo sarebbe uno sballo!

Victoria è stato prodotto dalla belga Caviar e i diritti internazionali di vendita sono detenuti dalla ceca Filmotor.

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(Tradotto dall'inglese da Gaia De Antoni)

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