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IFFR 2020 Voices Rotterdämmerung

Recensione: L'État sauvage

di 

- David Perrault si avventura nel western giocando con i codici del genere e realizzando un film singolare, quasi gotico, romanzesco, spettrale e molto irregolare

Recensione: L'État sauvage
Armelle Abibou, Maryne Bertiaux, Alice Isaaz e Constance Dollé in Savage State

Uno scambio di diamanti (falsi) con profumi che si conclude con una sparatoria; un ballo ad alta tensione dove i nordisti, trionfanti e ubriachi, molestano le donne locali poiché "l’ordine 28" li autorizza a trattarle come puttane; una carrozza che oscilla pericolosamente sull’orlo di un precipizio; banditi incappucciati che seguono un convoglio; fucili, galoppo, dinamite e persino un pizzico di voodoo; fitta nebbia e tempesta di neve in un West americano crepuscolare dove la ferrovia sta per stravolgere tutto: con L’État sauvage [+leggi anche:
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, presentato in prima internazionale al 48° Festival di Rotterdam, nel programma Voices Rotterdämmerung, David Perrault affronta il genere western, un’avventura davvero insolita per un giovane regista francese.

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Rivelatosi alla Semaine de la Critique di Cannes nel 2013 con Nos héros sont morts ce soir [+leggi anche:
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(già una rilettura stilistica), il regista e sceneggiatore tenta allo stesso tempo di rispettare i codici del genere (i suoi ampi spazi aperti, la ruvidezza, i  regolamenti di conti, gli uomini virili) e di deformarli (sia in termini di iperespressività visiva al confine tra fiaba e incubo vigile, sia per il ruolo principale delle donne nel racconto). Un’impresa audace che non è priva di rischi...

Siamo nel dicembre del 1863, nel cuore della contea di Saint Charles nel Missouri e in piena guerra di secessione. Minacciata dall'arrivo dei nordisti e dal crollo del loro mondo protetto, una famiglia borghese di coloni francesi decide di fuggire per tornare in Europa con le tre figlie in età da matrimonio: Esther (Alice Isaaz), il cui punto di vista è quello del film, Justine (Déborah François) e Abigaelle (Maryne Bertiaux). Edmond, il padre (Bruno Todeschini) ingaggia l'esperto cowboy mercenario Victor (Kevin Janssens) per intraprendere una spedizione che coinvolge anche la sua religiosissima moglie Madeleine (Constance Dollé) e la sua amante Layla (Armelle Abibou), la serva di colore della famiglia. Ma una banda di fuorilegge assetati di sangue guidati da Bettie (Kate Moran), che ha una divorante passione per Victor, è sulle loro tracce...

Adottando effetti visivi molto contrastanti (ombre e controluce, ralenti, accentuazione dei colori, sensazione di disordine e frammentazione), David Perrault crea un'atmosfera al limite dell'irreale che poco si addice agli spazi molto limitati del primo terzo del film, mentre funziona molto meglio dopo, in mezzo alla natura spettacolare. Mischiando molti (troppi) temi e stili nella sua ambizione di trattare i paradossi della libertà e del vuoto da un punto di vista femminista, e di rispettare gli archetipi del western mentre li stravolge, L’état sauvage fatica a trovare una chiara identità personale in un'alternanza di scene davvero interessanti con altre troppo teatrali. Un limbo in cui gli attori fanno il loro buon lavoro, ma che lascia un'impressione di bizzarra esperienza cinematografica nell'ambito del western europeo, un genere esplorato di recente in modo molto più saggio ed efficace, per esempio, in Gold [+leggi anche:
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del tedesco Thomas Arslan e I fratelli Sisters [+leggi anche:
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di Jacques Audiard.

Prodotto da Mille et Une Productions e dai canadesi di Metafilm, L’État sauvage è venduto all’estero da Pyramide, che lancerà anche il film nelle sale francesi il 26 febbraio.

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(Tradotto dal francese)

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