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SOLETTA 2020

Recensione: Who’s Afraid of Alice Miller?

di 

- Il film di Daniel Howald assomiglia ad una vera e propria psicanalisi in immagini, quella del figlio della celebre Alice Miller

Recensione: Who’s Afraid of Alice Miller?

Presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta 2020, in lizza per il Prix de Soleure, Who’s Afraid of Alice Miller? [+leggi anche:
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scheda film
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di Daniel Howald è un film complesso e labirintico le cui apparenze nascondono verità difficili da cogliere. La vita di Martin, protagonista del film, assomiglia ad una caccia al tesoro, crudele ed estenuante, alla ricerca di quella verità che potrebbe dare un senso a tutto il resto.

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A cavallo fra il film poliziesco e il dramma psicologico, Who’s Afraid of Alice Miller? racconta la storia di Martin Miller, il figlio della celebre pedagoga e psicologa infantile Alice Miller che si è battuta tutta la sua vita per difendere i diritti dei bambini. Contraria alle punizioni corporali, combattimento che l’ha portata a dibattere tanto con Tony Blair quanto con il Papa, e convinta sostenitrice del dialogo e dell’espressione sincera dei propri sentimenti sin dalla più tenera età, Alice Miller nasconde però un segreto difficile da concepire. È Martin, il suo unico figlio ormai più che settantenne, a renderlo pubblico: prima con un libro e ora in quanto protagonista di un film incentrato sulla sua storia. Martin è stato sin da piccolissimo rigettato e trattato con estrema freddezza dalla sua celebre madre. Come se questo non bastasse, suo padre, sociologo, l’ha crudelmente maltrattato fisicamente e psicologicamente fino a tetanizzarlo. Entrambi, fra i pochi sopravvissuti all’Olocausto, l’hanno privato di quell’amore che la dottoressa Miller non ha mai smesso di promuovere. Un paradosso che sin dall’inizio del film ci lascia basiti.

Daniel Howald porta allo schermo il contro esempio stesso delle teorie della celebre psicologa svizzera d’origine polacca, “il dramma del bambino dotato” che suo figlio incredibilmente impersonifica. Anche lui diventato psicoterapeuta, Martin parte, dopo la morte di sua madre, alla ricerca delle radici del male (il suo come quello dei suoi genitori): la Shoa che silenziosa ha sempre vissuto fra loro tre guidando la mano di suo padre e privandolo degli abbracci di sua madre. Alto come una montagna che sembra potersi sgretolare da un momento all’altro, Martin parte alla scoperta delle sue origini che lo portano dagli Stati Uniti fino alla Polonia (patria dei suoi genitori), accompagnato da sua zia Irenka, una donna minuscola, saggia e intelligente. La loro impressionante differenza d’altezza riassume in un certo senso i paradossi della storia stessa che il film ci racconta.

Who’s Afraid of Alice Miller? sembra costantemente avvicinarsi ad una verità che, all’ultimo momento, riesce comunque a sfuggirci: chi è veramente Alice Miller? Cosa si nasconde dietro le sue molteplici identità e vite (quella di ragazzina ribelle, di ebrea sotto copertura, di madre glaciale)? Ma soprattutto chi è veramente Andreas Miller, il padre di Martin? Se alla fine di quello che sembra un vero e proprio film poliziesco, crediamo di poter associare il comportamento malsano di Andreas con quello di un presunto collaborazionista delle Gestapo, tutto crolla infine come un castello di carte. Uno smascheramento impossibile che ci insegna quanto la ricerca, soprattutto in psicoterapia, sia più importante delle prove che produce. Prodotto di due menti ammaccate dagli orrori della guerra, Martin si rende conto di essere composto da paradossi che superano l’umana comprensione.

Il film riesce a tenerci costantemente con il fiato sospeso senza però compiacersi della nostra indignazione. Un tuffo nella mente umana che apre più porte di quante ne chiude.

Who’s Afraid of Alice Miller? è prodotto dalla basilese SwissDok, che si occupa anche delle vendite all’internazionale, insieme alla SRF Schweizer Radio und Fernsehen e SRG SSR.

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