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TORINO 2019

Recensione: Nour

di 

- Maurizio Zaccaro porta sullo schermo un caso di cui si è occupato Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che soccorre i migranti. Una testimonianza preziosa e di grande impatto emotivo

Recensione: Nour
Linda Mresy e Sergio Castellitto in Nour

Mentre all’alba due donne su una barca scorrono le foto delle loro vacanze, si sentono grida di persone in mare, e pian piano se ne distinguono i contorni. Sono immigrati naufragati nelle acque di Lampedusa, ed è su questo contrasto che si apre Nour [+leggi anche:
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, il nuovo film di Maurizio Zaccaro presentato al 37° Torino Film Festival, in Festa Mobile. Il regista, plurivincitore di David di Donatello, dedica questo suo ultimo lavoro a Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa reso famoso da Fuocoammare [+leggi anche:
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intervista: Gianfranco Rosi
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di Gianfranco Rosi, raccontando un episodio in particolare del suo lavoro come coordinatore delle attività sanitarie legate all’emergenza immigrazione sull’isola (ruolo che ricopre dal 2011), ripreso dal suo libro “Lacrime di sale”, scritto con la giornalista Lidia Tilotta.

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“Ho visto un bambino dentro un sacco. Apro gli occhi e lo vedo, chiudo gli occhi e lo vedo”. Bartolo (qui incarnato da Sergio Castellitto) vive il suo lavoro come una missione: quella di salvare il maggior numero possibile di vite tra gli immigrati che naufragano a poche miglia dall’isola siciliana (la cosiddetta “porta d’Europa”) in fuga da fame, guerre e torture. Lo vediamo in piena attività, in uno stile tra finzione e documentario, mentre coordina le attività di soccorso, abbraccia i migranti stremati avvolti nelle coperte termiche, manda una donna incinta a partorire in un ospedale sicuro. È una routine faticosa, a volte straziante, come quando si trova a dover annunciare a un padre che suo figlio piccolo disperso in mare è stato ritrovato dentro una sacca blu, con attaccato un numero.

“Dicono che ci si abitua, invece io non mi abituo mai”. Si chiama umanità. Non stupisce quindi che quando Pietro si trova davanti una ragazzina di dieci anni sola e sotto choc, il suo istinto sia quello di portarla a casa e darle da mangiare. La bambina si chiama Nour (Linda Mresy), è siriana e ha attraversato il Mediterraneo da sola, perché sua madre non è riuscita a imbarcarsi con lei in Libia. Così, prima di spedirla come tutti gli altri “minori non accompagnati” in una “struttura protetta” (un concetto che ricorre più volte, la voce della burocrazia), Bartolo prenderà a cuore il suo caso e farà di tutto per ritrovare la madre di Nour.

In alcuni punti forse troppo didascalico e monotonale, il film di Zaccaro ha un’innegabile forza emotiva. Pietro Bartolo è un personaggio straordinario, e davanti alle immagini di queste persone disperate, sotto choc, ammutolite, è difficile non provare empatia o una stretta allo stomaco (non mancano scene di ritrovamenti di cadaveri sott’acqua, lancinanti). I flashback su ciò che è accaduto a Nour prima di salire su quella barca, il capannone con i cadaveri allineati, i prelievi di tessuto per conservarne un’identità, le foto di famiglia ritrovate nelle tasche: il film raccoglie memorie di vita vissuta da chi da anni è in prima linea nel soccorrere la gente in mare. Una testimonianza preziosa.

Oggi Pietro Bartolo è al Parlamento europeo, ed è da lì che cerca di smuovere le coscienze. “Devo molto a tutti gli immigrati che ho salvato, mi hanno cambiato la vita. Prima scrivevo solo ricette mediche, ora scrivo libri per far conoscere queste storie, e sono entrato in politica per poter fare qualcosa”, ha detto l’appassionato medico alla presentazione del film al TFF, il giorno dopo l’ennesima strage nel Mediterraneo. E ha aggiunto un concetto semplice, ma che per molti, oggi, sembra non essere più di questa terra: “Non sono un eroe, sono un essere umano. Salvare le persone è un obbligo”.

Nour è prodotto da Stemal Entertainment, Ipotesi Cinema in collaborazione con Rai Cinema, e sarà distribuito da Vision Distribution nel 2020.

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