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LOCARNO 2019 Cineasti del presente

Recensione: Space Dogs

di 

- Attenzione! Il titolo di Elsa Kremser e Levin Peter è il film più spaventoso dell'anno

Recensione: Space Dogs

Per chiunque sia cresciuto con un’immagine divertente e colorata del cane Laika, il vero eroe sovietico, Space Dogs [+leggi anche:
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intervista: Elsa Kremser, Levin Peter
scheda film
]
di Elsa Kremser e Levin Peter – presentato nella sezione Cineasti del presente alla 72° edizione del Locarno Film Festival – sarà come un risveglio un po’ brutale. Soprattutto perché invece di ripetere quella calmante litania paternale del “è solo scomparsa”, facendola sembrare una specie di Amelia Earhart canina, i registi dicono esattamente ciò che è accaduto al primo animale che abbia mai orbitato attorno alla Terra. Non che si scopra subito, dato che il canticchiare rassicurante della voce di Aleksey Serebryakov ti porta in una rilassante modalità da racconto fiabesco, solo per sentire il tipo di dettagli violenti che porterebbero qualunque bambino in una folle frenesia paragonabile alla visione della caduta di Mufasa. Sinceramente, non me la sono passata molto meglio.

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Anche perché il film non riguarda solo l’epilogo straziante dell’avventura imposta a Laika, che spinse l’autore Haruki Murakami a chiedersi degli “occhi neri e lucidi di Laika che si affacciano da un minuscolo oblò. Che cosa avrà visto, la cagnetta, in quello spazio sconfinato e deserto?” Space Dogs riguarda anche ciò che l’ha portata all’agonia prima di tutto, un bieco destino condiviso – come si scopre – da molti altri. I registi, infatti, disvelano il mondo dei “cani spaziali” sovietici trascinati via dalle strade di Mosca, dritti dentro piccole gabbie e ancor più piccole capsule, pietrificati e, sì, per dirla come lo scrittore giapponese, totalmente soli.

Aspro ma coinvolgente, come una vera fiaba, Space Dogs fa viaggiare la mente, immaginando dettagli che potrebbero essere (o, ammettiamolo, sono) ancora più difficili da digerire rispetto a ciò che restituisce lo schermo, specialmente perché il film ti fa sudare con ansia per alcuni minuti più di quanto facciano i filmati d’archivio. Di fatti, l’insistenza dei registi nel seguire i bastardini, in contrasto con i loro carcerieri, li porta tutte per le strade – proprio le stesse che una volta ospitavano quel “primo animale a essere lanciato nello spazio” e i suoi successori: cani che non appartenevano a nessuno, e quindi a tutti, presi uno alla volta da degli scienziati, in una delle più assurde immagini partorite dalla mente umana.

Desiderosi di osservare meglio la loro vita prima ancora di tutta la “gloria”, Kremser e Peter si accovacciano, solo per scoprire un pianeta completamente diverso. Rumorosa e ostile, al ritmo di una musica che è sempre troppo alta e di un karaoke che suona sempre in chiave sbagliata, la prospettiva dal livello dei cani vede gli esseri umani ridotti a gambe solo troppo ansiose di assestare l’ennesimo calcio. Questo semplice trucco rende facile condividere la confusione degli animali costretti a situazioni ridicole, come lo scimpanzé forzato a indossare uno scomodo cappello dorato – un accenno alla risposta americana a Laika. Sebbene l’idea di seguire letteralmente i cani possa sembrare noiosa, rapidamente si trasforma in un thriller spaventoso. Se ci fosse qualcuno a chiedersi cosa accade realmente quando un cane riesce a prendere un gatto, non se lo chiederà più – inutile a dirsi, per il futuro prossimo di questo film sono prevedibili le uscite in massa. Rispecchiando in qualche modo il passato e il presente dei cani, Space Dogs è rimasto con me per un po’ dopo i titoli di coda, sebbene fossi così esausto da essere irriconoscibile. Proprio come quel gatto sullo schermo.

Space Dogs è stato prodotto, scritto e diretto da Elsa Kremser e Levin Peter. Una produzione di Raumzeitfilm, in coproduzione con It Works! Medien. Con il sostegno di ARRI International Support Program, Austrian Film Commission, Österreichische Kulturforum Moskau, German Films. Le vendite internazionali sono gestite da Deckert Distribution.

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(Tradotto dall'inglese da Gilda Dina)

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