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BERLINALE 2019 Panorama

Recensione: Western Arabs

di 

- BERLINO 2019: Omar Shargawi offre un documentario emotivo, coraggioso e intimo sulla complessa relazione con suo padre, Munir

Recensione: Western Arabs

Omar Shargawi (Al Medina1/2 Revolution) ha presentato nella sezione Panorama della Berlinale il suo nuovo documentario Western Arabs [+leggi anche:
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. Il regista di Copenhagen ha un rapporto complicato e doloroso con suo padre, Munir, un uomo palestinese irascibile e aggressivo, diventato cittadino della Danimarca e sposato con una danese. Devastato dalla guerra nella sua terra di origine e dalla fuga coatta della famiglia dal proprio Paese natio, nonostante i tanti anni trascorsi in Danimarca, Munir non si è completamente integrato nella società danese e ha trasmesso al figlio i propri traumi. Omar ha una figlia, Dorthea, e per paura di diventare violento e testardo come suo padre cerca di evitare di replicare lo stesso modello comportamentale.

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Dopo una breve scena girata all’interno dell’auto del regista, in cui Omar parla della violenta discussione che ha avuto con uno dei suoi fratelli, una sequenza visivamente potente – fatta di filmati d’archivio e vecchie immagini bellissime – introduce inequivocabilmente i temi principali del film, ossia la dislocazione culturale di Omar e la relazione spinosa con il padre. Omar ha il desiderio di scavare nel passato del padre per riconciliarsi a lui ma, come presto vedrà lo spettatore, Munir ha una personalità tormentata, a volte allegra e vivace, altre volte ostile e reticente. La relazione di Shargawi con la figura paterna è enigmatica e instabile, e la fotografia del documentario (opera di Aske Foss e del regista stesso) riflette la fragilità del legame. Il film è ricco di momenti di intimità rafforzati da primi piani tremolanti delle confessioni di Munir e Omar, consegnati direttamente alla videocamera.

Questi preziosi elementi visivi sono arricchiti non solo dalla splendida colonna sonora di Anders 'AC' Christensen, ma anche dalle registrazioni di alcune chiamate telefoniche accese e da varie speculazioni filosofiche su temi quali la religione, la guerra e l’odio.

È interessante come il regista abbia scelto d’intrecciare il materiale documentario insieme a scene di suoi precedenti film d’azione e thriller. Shargawi tende a coinvolgere il padre nella realizzazione dei suoi film e i suoi copioni spesso mostrano un dialogo che a casa viene represso. Il film evolve via via in una riflessione più ampia sulla non comunicazione tra i membri della famiglia e si concentra sui conflitti interiori di Omar e Munir, entrambi in difficoltà per superare il proprio passato e trovare pace. Nel viaggio di Omar verso la sua terra di origine e nei segmenti dei filmati d’archivio mostrati nel film, il conflitto israelo-palestinese, onnipresente nei dialoghi dei personaggi, diventa metafora della condizione mentale incerta che i due uomini condividono, e addirittura fornisce un’occasione di riflessione sul ruolo dei film per lo sviluppo della coscienza sociale. La scena finale è il vero culmine del film e premia l’attenzione dello spettatore con un messaggio universale pieno di speranza e felicemente privo di retorica.

Questo documentario, girato nel corso di dodici anni, ha avuto un processo di produzione turbolento. Il film alla fine è stato montato in cinque mesi, ma nel corso di un anno, dal talentuoso Thomas Papapetros. Il duro lavoro del regista è chiaramente visibile sullo schermo: il risultato è un film coraggioso, toccante che difficilmente non spingerà gli spettatori a immedesimarsi.

Western Arabs è prodotto da Eva JakobsenKatrin Pors e Mikkel Jersin per la società di Copenhagen Snowglobe in collaborazione con Frank Hoeve e Katja Draaijer per la Baldr Film di Amsterdam. Un ulteriore sostegno finanziario è stato garantito dagli enti Danish Film InstituteNetherlands Film Fund e Danish Broadcasting Corporation. La società di distribuzione berlinese Rise and Shine detiene le vendite internazionali.

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(Tradotto dall'inglese da Gilda Dina)

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