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IFFR 2019 Signatures

Recensione: Love Me Not

di 

- Presentato nella sezione Signatures del festival di Rotterdam il nuovo film dello spagnolo Lluís Miñarro, un adattamento della Salomè biblica nell'Iraq occupato dagli Usa

Recensione: Love Me Not
Ingrid García-Jonsson in Love Me Not

È stato presentato nella sezione Signatures del Festival di Rotterdam l'atteso secondo lungometraggio di Lluís Miñarro Love Me Not [+leggi anche:
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. Diciamo subito che è un adattamento della tragedia biblica Salomè, nella versione di Oscar Wilde, dove la principessa desidera ardentemente il profeta Giovanni Battista e ne esige la testa dopo il suo rifiuto. Aggiungiamo che siamo in Iraq appena prima della guerra di Bush e Blair e che Giovanni Battista-Yokanaan (interpretato dal regista di Mimosas [+leggi anche:
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Oliver Laxe) ha la tuta arancione dei prigionieri del famigerato campo di detenzione Abu Ghraib. La didascalia nei titoli di coda ci informa che il film è dedicato a Douglas Sirk. 

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Da queste poco rassicuranti premesse il regista catalano sviluppa una parabola decisamente antimilitarista dai dialoghi surreali e dai riferimenti che spaziano per tutta la storia dell'arte visiva da De Chirico a Luis Buñuel passando per Caravaggio, il teatro dell'assurdo e il cinema di genere. A queste latitudini la figlia d'Erode, qua colonnello Antipas (Francesc Orella), ha il corpo desiderante di Ingrid García-Jonsson; un corpo che spesso occupa ogni centimetro dello schermo. Una principessa lasciva e capricciosa che si muove fra soldati che con hanno disparate teorie sul cinema, la guerra e il sesso in un'atmosfera pre-bellica che si trasforma in un bar sport ad alto tasso omoerotico. 

Come potremmo definire questo oggetto non identificato che spunta fuori dalla macchina da presa di Lluís Miñarro? Un deserto dei tartari post-moderno, inzuppato di iconografia dei primi Duemila, una versione perversa del millenium bug, lo scontro epocale fra sesso e spirito, fra guerra e pace, fra bene e male. “Eppure tutto si confonde”, dice il profeta Yokanaan, “il bene col male, l'inferno col paradiso, la libertà con la prigione” e Miñarro ha gioco facile nell'inventare un immaginario stilistico mai visto al cinema, tradotto in un'orgia visiva che inebria e stordisce. L'assurdità del mito bellico americano è esposta al continuo dileggio dei nonsense camerateschi, la democrazia è difesa da soldati messicani (sacrilegio!), la civiltà da esportare è già scaduta.

Fa parte del cast anche Lola Dueñas (che interpreta la madre di Salomè dopo il successo di Zama [+leggi anche:
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) e l'immagine più audace del film è il sogno di lei tramutata in lupa (azzarderemmo cagna dato il contesto) che allatta i soldati zotici e vogliosi. Miñarro non conosce la parola tabù e ce ne rallegriamo, in un'epoca dove il la giustizia diventa puritana e il politicamente corretto diventa auto-censura il problema dovrebbero essere le violenze sessuali non il sesso. 

Insomma un film eccentrico e liberatorio e non ce la sentiamo proprio di condannare Salomè per la barbara pretesa di avere la testa del profeta; un dono che è sia un'allegoria del pene che un'equa punizione: chi si credeva di essere il profeta per rifiutare Ingrid-García Jonsson è un mistero che non si potrebbe spiegare neanche in mille film. 

Love Me Not è stata prodotta da Lluís Miñarro per Lluís Miñarro Producciones e da Julio Chavezmontes per Piano (Messico) in collaborazione con Generalitat de Catalunya e di Televisió de Catalunya e il fondo messicano Eficine. Reel Suspects si prende cura delle vendite.

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