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FILM / RECENSIONI

Solo dio perdona

di 

- Il regista di Drive torna sulla Croisette con un film allucinato, poetico e violento che disorienterà il suo nuovo pubblico e rassicurerà i fan della prima ora.

Il regista danese Nicolas Winding Refn torna sulla Croisette appena due anni dopo avervi conquistato il Premio della regia con Drive. Solo Dio perdona [+leggi anche:
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segna la sua seconda collaborazione con Ryan Gosling per un progetto che ha richiesto una gestazione importante. Quando Wild Bunch e Gaumont sono salite a bordo di questa produzione lanciata dalla compagnia fondata da Lene Borglum e Refn (Space Rocket Nation), il progetto non era altro che un film di lotta "facile da vendere". Passato il ciclone mediatico di Drive, Refn si è rituffato nella scrittura della sceneggiatura immergendosi nella mistica notturna di Bangkok. La storia evolve, si spoglia e la geometria del film prende forma. L'aspetto spigoloso delle inquadrature, come la violenza crassa e ruvida, sono preponderanti nel risultato finale a metà tra universo lynchiano (Lost Highway, Twin Peaks, Mulholland Drive) e melvilliano (Frank Costello faccia d'angelo). Meno convenzionale della sua opera precedente, Solo Dio perdona si riallaccia a esercizi di stile come Valhalla Rising [+leggi anche:
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o Pusher senza pertanto rappresentare un passo indietro in una delle filmografie più interessanti del cinema europeo contemporaneo.

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La storia è minimalista. Billy (Tom Burke) gestisce un club di boxe a Bangkok con i suoi fratelli, in realtà una copertura per il traffico di droga familiare. Una sera, viene selvaggiamente mutilato per aver picchiato a morte una prostituta. Suo fratello Julian (Ryan Gosling) dovrà affrontare sua madre (Kristin Scott Thomas, glaciale) venuta dagli Stati Uniti per rimpatriare il corpo di suo figlio e assicurarsi una vendetta degna di questo nome. Julian dovrà vedersela anche con uno strano giustiziere legato alla polizia: il cosiddetto Chang si è posto la missione quasi sacra di sradicare la famiglia di trafficanti americani.  

Come i suoi personaggi che si spostano lentamente su traiettorie lineari, Refn monta la sua cinepresa su carrelli per un viaggio al ralenti fino al termine dell'inferno, territorio pervaso dalla musica originale di Cliff Martinez, sempre in perfetto accordo con l'immagine. Bangkok irradia una luce rossa che illumina i volti, incontra il blu, l'arancio e il verde a seconda delle sfumature. E' decisamente la messa in scena che parla al posto dei personaggi. Gosling è un campione di ermetismo, in un archetipo che gli è cucito addosso di film in film, specchio occidentale della sua perfetta nemesi asiatica interpretata dall'attore thailandese Vithaya Pansringarm. Solo Kristin Scott Thomas beneficia di dialoghi che scalfiscono come un rompighiccio la struttura emotiva di questa madre, originale e onnipotente. Questa dea nera non è al riparo del vero angelo sterminatore, quello che probabilmente evoca il titolo del film.

Refn e Gosling hanno intrapreso una strada tutt'altro che facile con questo film d'autore poco chiaro e ancor meno mainstream. La dedica finale ad Alejandro Jodorowsky chiude una riflessione poetica particolarmente oscura. Refn rivendica uno degli insegnamenti del suo maestro spirituale franco-cileno: restare fedele al proprio desiderio fino a che tutto non si aggiusti. Partito da un modello commerciale facile da monetizzare, Solo Dio perdona è diventato un'opera radicale di difficile accesso. Testimonia tanto l'accettazione di un mondo magico quanto la paura del mondo reale. Delle due, l'una: o Refn ha tentato di filmare il misticismo in modo realistico, o ha offerto uno sguardo metaforico sul reale. Come il dio Chang, a decidere sarà lo spettatore.

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(Tradotto dal francese)

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