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CANNES 2013 Concorso

Recensione: La vita di Adele

di 

- Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux eliminano le barriere sociali nell'eccezionale "love story" al femminile di Abdellatif Kechiche

Recensione: La vita di Adele
Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux in La vita di Adele

“Raggiungere l'essenza stessa dell'essere umano”, è la sfida del cinema verità cui Abdellatif Kechiche si è sempre confrontato nella sua carriera, già ricca di ricompense in soli quattro lungometraggi. Ma con La vita di Adele [+leggi anche:
trailer
intervista: Abdellatif Kechiche
scheda film
]
, in concorso al 66mo Festival di Cannes, il cineasta passa a un'altitudine ancora superiore avvicinandosi al cuore e all'epidermide di due giovani donne provenienti da ambienti sociali differenti. Tessendo un'opera romantica iper sessuata di grande ampiezza senza mai scartarsi dalla sua linea stilistica che privilegia la vita e l'intensità delle scene, né rinunciare alla profondità del pensiero e dell'analisi sociale, il regista offre alla quasi sconosciuta Adèle Exarchopoulos e all'astro nascente Léa Seydoux due ruoli enormi che le due attrici fanno propri con incredibile coraggio. Ma al di là delle loro performance piene di abbracci, sorrisi e lacrime di gioventù, il film s'impone come un'ode alla libertà più semplice e pertanto più difficile da raggiungere, quella di essere se stessi senza doversene giustificare.

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"Qual è il mio genere?" Per l’adolescente, le domande sull'identità sono all'ordine del giorno e Adèle (Adèle Exarchopoulos), liceale cresciuta in una famiglia della classe popolare della banlieue di Lille, ha l'età in cui si sveglia la fame di amore e di sesso. Amante della letteratura in un ambiente in cui la cultura è praticamente assente dalle conversazioni tra amiche e le cene in famiglia sono accompagnate dalla televisione, si sente presto a disagio con i ragazzi. Perché la sua vita è cambiata da quando ha incrociato per caso una ragazza dai capelli blu che ha cominciato a popolare i suoi sogni erotici. Un po' persa nei suoi desideri e alla ricerca più o meno cosciente di queste apparizioni, la ritroverà e si lancerà nel territorio sconosciuto dell'omosessualità femminile.

La ragazza dai capelli blu, Emma (Léa Seydoux), è affascinata da Adèle, all'inizio la tiene gentilmente a distanza prima di cedere a una torrida alchimia dei corpi. Comincia così una vita di coppia che verrà gradualmente scalfita, nel corso degli anni, dalle vocazioni di ciascuna (Adèle insegnante ed Emma disegnatrice) e dal fossato che le separa in termini di ambizioni, origini, educazione e idea della felicità…

Pur restando fedele al corpus fondamentale (la scoperta della passione al femminile) del fumetto Le bleu est une couleur chaude da cui è tratto il suo film, Abdellatif Kechiche asciuga il suo adattamento di tutti gli aspetti legati alla militanza femminista e della dimensione tragica, per concentrarsi meglio sulla tematica sociologica a lui cara: la distanza sociale e il "melting pot" (il corpo a corpo, i piaceri della tavola, le manifestazioni, le feste e la danza, le lezioni a scuola, ecc.). La sua regia, divenuta esperta nell'arte dell'avvicinamento e del movimento, si immerge nei personaggi e sonda le loro emozioni in lunghe sequenze accattivanti.

La padronanza e la forza delle scene di sesso polverizzano la loro dimensione pornografica per non rappresentare altro che ritratti della natura palpitante nella sua più semplice espressione. Una trasmutazione compiuta anche nella trasmissione, in scene di vita quotidiana perfettamente restituite, di numerosi riferimenti, tra cui La vie de Marianne di Marivaux (storia di una donna contro tutti), Antigone  (la "piccola" eroina che decide di dire no) e L’existentialisme est un humanisme di Sartre. Un insieme che fa di La vita di Adele, un gran bel film che realizza la fusione spontanea tra corpo e spirito. 

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(Tradotto dal francese)

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