email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

FILM / RECENSIONI

Camille Claudel 1915

di 

- Juliette Binoche interpreta una Camille Claudel malata che lascia il segno in concorso alla 63ma Berlinale.

Per raccontare la storia di Camille Claudel, Bruno Dumont utilizza due cartelli esplicativi all’inizio e alla fine del suo film. Tra l’uno e l’altro, non si svolge un semplice biopic sulla scultrice, ma si racconta l’isolamento di una donna che “non è più una creatura umana” e che soffre di un distacco affettivo (la sua famiglia, il suo ex amante) e materiale (il suo atelier, i suoi strumenti, le sue opere). Come indica l’anno inserito nel titolo, Camille Claudel 1915 [+leggi anche:
trailer
intervista: Bruno Dumont
scheda film
]
 capta un istante della vita dell’artista che fu amante e allieva di Rodin, ma che passerà 29 anni della sua vita rinchiusa in un manicomio dove finirà i suoi giorni nel 1943.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Rinunciando alla sessualità e alla violenza cui ci aveva abituati, il regista di Hors Satan [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
 impone il suo ritmo alla competizione di questa 63ma Berlinale con un film austero che ripercorre un periodo molto breve — pochi giorni — dilatandolo, per rilevare il peso di ogni secondo. Il cinema di Dumont rimane così intatto, disturbante. Per elaborare la sceneggiatura, Bruno Dumont si è basato sui rapporti medici e sulla corrispondenza epistolare tra Camille e suo fratello Paul (Jean-Luc Vincent), che durante il film andrà a farle visita una volta. In un segmento parallelo, Paul fa di questa visita una tappa del proprio cammino verso la fede, e ad eccezione del suo monologo e di quattro o cinque pagine di dialoghi riconducibili a Camille, il film è molto poco parlato.

Il regista limita così qualsiasi impressione di testo recitato, cosa che ha sempre tenuto a fare in tutta la sua filmografia e nel suo lavoro con attori non professionisti. Ha girato in un vero manicomio con i suoi pazienti e il suo personale, che si muovono intorno a una Juliette Binoche abitata dal personaggio di Camille Claudel, tra sofferenze e illuminazioni. L’attrice — che ha la stessa età di Camille — dà prova di una performance impegnativa basata su un’idea precisa dello stato emotivo del personaggio, sebbene liberamente improvvisato. E’ la prima volta che Bruno Dumont lavora con una star ed è forse questo che fa di questo film un’opera a parte sia nella sua filmografia che in quella dell’attrice, che è stata la prima a contattare il regista per lavorare con lui.

Camille Claudel 1915 non si concede molti artifici, per esistere in un minimalismo in cui ogni dettaglio è suscettibile di influenzare un’inquadratura. La disperazione di Camille è palpabile, collerica o silenziosa, e lo stesso vale per la speranza simbolizzata dalla visita di Paul. La contemplazione del film passa per una riflessione sull’arte — paradossalmente, senza arte — e sulla fede. E’ una questione di limite tra il sacro e il profano, di una ritualizzazione della miseria operata da una donna tenuta rinchiusa in manicomio, quando invece è evidente che è la più sana di tutti.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy