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Nic Balthazar • Regista

"Non sei tu a trovare la storia, è la storia che trova te"

di 

- Giornalista e critico cinematografico, presentatore della tv fiamminga, Nic Balthazar è passato dietro la macchina da presa per adattare il suo libro Ben X

Cineuropa: Lei ha scritto un libro che ha adattato prima in teatro, poi al cinema, e probabilmente girerà un remake negli Stati Uniti. Non ne ha abbastanza di Ben X [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Nic Balthazar
intervista: Peter Bouckaert
scheda film
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Nic Balthazar: Sì, è una storia senza fine (ride)! Cinque anni fa mi è stato chiesto di scrivere un romanzo per gli adolescenti che non leggono. La cosa mi andava bene: ero uno scrittore e non avevo ancora mai scritto! Avevo questa velleità e non avevo mai scritto una storia di finzione. Spesso si dice che non sei tu a trovare la storia, è la storia che trova te. E' il mio caso. Il destino ha voluto che m'imbattessi in questo drammatico fatto di cronaca che mi ha particolarmente commosso: un ragazzino autistico si era suicidato perché veniva preso in giro dai compagni di scuola. Ho sentito sua madre dire che nessuno avrebbe potuto consolarla. Ho provato a fare una storia in cui le cose si svolgono diversamente.

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Voleva fare un'opera di riparazione, in un certo senso?
Se mi fossi attenuto ai fatti avrei fatto un documentario. Ma sono attratto dal cinema, che deve, come diceva Kubrick, superare la realtà. Non volevo neanche presentare il suicidio come una soluzione. Il termine "riparazione" è troppo forte, ma avevo senza dubbio il desiderio, se non di consolare questa madre, di offrirle almeno un po' di comprensione. Ed è stato un piccolo miracolo: il libro è stato un successo. Ha toccato gli adolescenti e la storia di questa madre che cerca di proteggere suo figlio, senza sapere da chi, ha commosso i loro genitori. Un giovane attore ne ha voluto trarre un monologo per il teatro. Ma il problema dell'autismo è proprio la parola. Mi è venuta allora l'idea di un monologo a più voci: la madre e il professore raccontavano questo giovane fuori dal normale, mentre lui rappresentava la sua storia. Abbiamo messo intorno a lui tanta musica, immagini di videogiochi, cose molto moderne. Volevo rendere il teatro accessibile a un adolescente. Questo è stato il secondo miracolo, con oltre 250 repliche.

Ben X è il suo primo lungometraggio in assoluto?
Sì. Peter Bouckaert, il mio produttore, ha avuto la brillante idea di circondarmi di gente molto competente, il direttore della fotografia, il montatore... Ho imparato che bisogna, sì, saper dirigere la nave, ma che alla fine è tutto l'equipaggio a navigare. E' il motto di Ben: "Tutto sta nell'osare".

Al di là dell'autismo, Ben X parla di un problema molto umano: trovare il proprio posto nel mondo.
Volevo trasmettere questo messaggio sulla diversità e la comprensione. Al contrario di tanti critici cinematografici miei colleghi, non sono un cinico (ride)! Se il cinema non dice cose sul mondo in cui viviamo, a cosa serve questa grande e costosa macchina? Quando un ragazzo di 14 anni viene da me e mi dice di avere la sindrome di Asperger come Ben, che andrà a vedere il film con la sua classe e che ha deciso di dire ai suoi compagni, per la prima volta, che ha questo handicap, mi dico che il cinema può davvero cambiare il mondo. E ne sono molto fiero. Ma l'autismo è anche un'allegoria. Il titolo del libro era "Rien était tout ce qu’il disait" (lett. Niente era tutto quello che diceva). Ci sono talmente tanti giovani che credono di non essere "niente", si sentono incompresi e il mondo non trasmette loro nulla. E' il dramma, credo, di tutti quelli che non si sentono particolarmente attraenti, in una società che esercita su di noi una grande pressione, il fascismo della seduzione! Tutti lo subiscono, i giovani per primi. La persecuzione morale è una questione molto presente oggi anche nel mondo del lavoro.

Ben X è molto ricco in termini di struttura e di immagini.
Girare nel cyberspazio è stata una mia idea e ne sono molto contento! Volevo colpire il mio pubblico, fare un film che lo stupisse, che trovasse "cool"! E queste scenografie sono fantastiche, è un universo molto poetico. Ben vive letteralmente in un altro mondo, e questo andava rappresentato. Il cinema è raccontare le emozioni, i sentimenti con le immagini, non solo con le parole. I giovani di oggi riescono a navigare, giocare, scaricare, chattare ascoltando la radio e la televisione allo stesso tempo. La loro capacità di passare da una visione all'altra del mondo è affascinante. Ma il pericolo è di prestare un orecchio superficiale a tutto. Ci si fa subito un'opinione, ci si sbaglia, si rimette in discussione. Ciò che mi piace sia al cinema che a teatro è mettere tutto in scena, affinché lo spettatore completi da sé la storia, assumendosi il rischio di sbagliare. E' come il genere poliziesco. Un gioco pericoloso: non bisogna oltrepassare il limite in cui lo spettatore potrebbe sentirsi manipolato e arrabbiarsi. Bisogna sorprenderlo, non ingannarlo.

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