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Julie Delpy • Regista

“Una realtà un po’ sfasata”

di 

- Incontro con un’artista originale nel panorama cinematografico franco-americano

Julie Delpy è un’attrice cosmopolita rivelatasi a 16 anni, nominata all’Oscar per la miglior sceneggiatura nel 2005 e ormai cineasta compiuta a 37 anni senza aver rinunciato al suo spirito d’indipendenza.

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Julie Delpy: Dopo aver pensato a questo soggetto, avevo scritto Prima del tramonto, nel quale Parigi non ha nessuna influenza sui personaggi. Qui ho fatto il contrario perché l’ambiente li distrugge. Parigi può essere eccezionale, gradevolissima, ma può anche divorare, generare giorni orribili: e può diventare una sorta di Fuori orario. Allora mi sono detta che sarebbe stato interessante trattare un momento estremo, dove tutto diventa un incubo, disastro dopo disastro.

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Quale tema le interessava maggiormente: la guerra dei sessi o l’opposizione culturale fra i due personaggi?
Entrambi, ma il vero soggetto è il passaggio alla prossima tappa di una relazione amorosa, la rotta sulla quale bisogna investire al 100%, cosa che i due personaggi non fanno. Lui si nasconde dietro il suo lato turistico e la sua macchina fotografica, un modo per salvare la sua distanza. Lei, invece, si protegge non mollando mai suo passato. Sono due modi diversi di evitare di diventare veramente intimi con qualcuno. Entrambi hanno paura perché non è facile lasciarsi andare. Se non è la persona giusta, se ci lascia, se ci inganna o ci tradisce, è la devastazione totale. È una questione universale: nulla è più doloroso (a parte la morte delle persone amate) di una separazione. Ma ne parlo con humour.

Fino a che punto voleva ridere sui cliché sui francesi e gli americani?
Ci ho giocato perché si tratta di una commedia. Ma su un doppio livello, perché mi sono divertita con i cliché della Francia vista dagli americani. Credono, per esempio, che tutte le francesi siano ragazze facili e ci gioco per far crescere la sua paranoia. Quello che conta è soprattutto la differenza fra un pesce fuori dall’acqua e uno immerso nel suo elemento. E questa differenza porta all’improvviso al conflitto. Il film è abbastanza maligno, ma molto tenero alla stesso tempo: i genitori sono infernali pur essendo adorabili, la sorella è odiosa solo in apparenza, i due protagonisti non smettono di aggredirsi ma si amano… adoro i contrasti fra quello che le persone dicono e quello che sono davvero. E i dialoghi, le barzellette, i riferimenti politici, danno il loro colore al film. Leggo anche molte opere scientifiche che spiegano le cause dell’attrazione. Le cose che fanno di noi gli animali che siamo mi affascinano.

Qual è stata la sua scelta per la realizzazione e il montaggio?
Volevo uno stile molto naturale. Ludomir Bakchev, il capo operatore aveva già realizzato La Schivata [+leggi anche:
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ed evolve in questa vena realistica, quasi sempre con la macchina da presa a spalla e alcuni piani fissi. Volevo inoltre una realtà un po’ sfasata (si tratta comunque di un film leggero), raccontare una storia quasi come in un romanzo con delle immagini in collage visivi, molti jump cut, una voce off all’inizio e alla fine come quando si ricorda.

Il film fa riferimenti discreti a M, Il Mostro di Dusseldorf di Fritz Lang e a Viaggio in Italia dei Roberto Rossellini
Anche senza aver stuprato o ucciso giovani fanciulle, il personaggio di Adam Golberg si sente un escluso come M nel film di Lang e alla fine si rade sul petto la M di Marion. Quanto a Voyage en Italie, è un film cupissimo della coppia e lo adoro. Ma il mio film è diverso, tentare di imitare Rossellini sarebbe assolutamente ridicolo e assurdamente pretenzioso.

Quali sono le conseguenze della sua immagine più internazionale che francese nel montaggio finanziario dei suoi progetti?
In Francia mi penalizza, ma mi aiuta per i finanziamenti stranieri. C’è molto denaro nel cinema francese, ma ce n’è poco in questo film. Ed è stato duro convincere le reti tv a investire perché non faccio parte delle attrici che hanno una reputazione tale da garantire il successo.

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