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Susanne Bier • Regista

"I miei film guardano sempre ai personaggi"

di 

- Dopo il matrimonio è il nuovo successo di pubblico e critica di Susanne Bier e candidato danese alle nomination per gli Oscar

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è la sua terza collaborazione con lo sceneggiatore Anders Thomas Jensen. Come lavorate insieme?

Susanne Bier: È un po’ come giocare a ping pong. Ci facciamo molte domande, costruiamo un terzo della storia e poi Anders inizia a scrivere le scene. E lì rientro io, le discuto con lui e di solito diventano qualcosa di totalmente diverso. È sempre un lavoro sui personaggi, e lo sviluppo drammatico è sempre determinato da come li percepiamo e non il contrario.

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Sullo sfondo, nel film, ci sono gli aiuti umanitari. C’è qualcosa in particolare che l’ha ispirata nell’attualità?
No, nulla di specifico e certamente non di attuale, perché un film impiega un anno per essere creato, e nel frattempo le cose cambiano. In questo film specifico, sia Anders che io avevamo un personaggio preferito. Lui avrebbe voluto essere Jacob (Mads Mikkelsen) e io Jørgen (Rolf Lassgård). La cosa interessante di Jacob è che ha molti dei dilemmi tipici degli occidentali. Vogliamo fare qualcosa di buono, ma quali sono i veri motivi? Non vogliamo affrontare qualcosa della nostra vita o è il puro desiderio di aiutare qualcun’altro? Forse è l’insieme delle cose. Anders ha una percezione più severa di questo tipo di persone rispetto a me, e forse è più cinico riguardo agli aiuti umanitari. Personalmente, non mi interessava che le ragioni di Jørgen fossero miste. È il personaggio che preferisco perché mi affascinano... gli uomini di potere, ma suppongo che sia così per la maggior parte delle donne!

Rolf Lassgård è eccezionale. La scena in cui crolla e confessa alla moglie la sua paura di morire è molto intensa...
La scena scritta era totalmente diversa. Doveva essere una scena più accomodante tra marito e moglie dove, in maniera molto soft, si dicono addio. Nello script pensavamo che, a quel punto, avrebbero dovuto guardare in faccia la realtà. Ma quando abbiamo iniziato le riprese, abbiamo capito che non era così, e che una persona come Jørgen può arrivare alla disperazione. Due settimane prima di iniziare a girare, ATJ ed io abbiamo discusso la scena. Ho continuato a dire che doveva essere orribile. Alla fine, la scena aveva proprio quel senso di violenza.

Anche in questo film fa coppia con Mads Mikkelsen. Cosa le piace di lui... a parte forse il suo fisico!
Adoro sua moglie (ride)! Lui ama la ricerca. Cerca la verità in ogni personaggio, e cerca in maniera meticolosa, con tale impegno che a volte vorresti che fosse più pigro.

Ha appena finito di girare per la Dreamworks Things We Lost in the Fire. Com’è successo e com’è stata la sua prima esperienza a Hollywood?
Mi hanno inviato lo script e ho subito pensato: "Sì, posso farlo". Sono stata fortunata perché Sam Mendes e Sam Mercer (produttori di M.Night Shyamalan) hanno prodotto il film, e si tratta di un team davvero artistico. Lavorare con Dreamworks ha reso il mio lavoro più teso, più intenso, perché non vogliono essere troppo morbidi. D’altra parte però, non credo che lavorare negli USA sia così diverso. Ciò che facciamo io o gli attori di fondo è lo stesso, ma la differenza sta nel fatto che ci sono circa 150 persone con le cuffie sul set. Non conosci nessuno, ma tutto funziona alla perfezione!

Alcuni registi europei vogliono girare film in inglese per raggiungere platee internazionali più ampie. È così importante anche per lei?
Da filmmaker, ho inziato girando pubblicità, e pensavo fosse divertente, poi ho iniziato a farlo solo per denaro e le cose sono peggiorate. Devi fare le cose con delle buone ragioni. E per questo devi fare un film per la storia, perché i personaggi sono interessanti e perché c’è qualcosa dentro. Non è la garanzia di un film buono, ma il contrario diventa garanzia di un film brutto.

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