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BERLINALE 2022 Panorama

Amélie van Elmbt e Maya Duverdier • Registe di Dreaming Walls

"Volevamo far entrare il pubblico dalla porta di servizio del Chelsea Hotel"

di 

- BERLINALE 2022: Le registe belghe riflettono sul processo di trasformazione di questo mitico polo artistico del XX secolo, che rispecchia la fine di un'epoca

Amélie van Elmbt e Maya Duverdier • Registe di Dreaming Walls
(sx-dx) Maya Duverdier e Amélie van Elmbt

Le due registe belghe Amélie van Elmbt e Maya Duverdier parlano del loro documentario selezionato alla Berlinale nella sezione Panorama Dreaming Walls [+leggi anche:
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, che ha per protagonisti alcuni fantasmi ma soprattutto gli abitanti attuali del leggendario Chelsea Hotel di New York, un tempo rifugio artistico di numerose icone pop e della controcultura. Oggi ospita ancora un gruppo di interessanti individui, mentre sono in corso i lavori per riconvertirlo in un hotel di lusso.

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Cineuropa: Cosa vi ha attratto del Chelsea Hotel?
Maya Duverdier:
Abbiamo iniziato questa avventura quattro anni fa mentre eravamo a New York per la proiezione del precedente film di Amélie Drôle de père [+leggi anche:
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, che era programmata nella stessa strada del Chelsea Hotel. Dato che non dovevamo rimanere per l'intera proiezione, siamo andate in giro e all'improvviso abbiamo visto quella facciata di mattoni rossi. Sapevamo del posto perché avevamo letto Just Kids di Patti Smith quando eravamo giovani e avevamo questa fascinazione per gli anni '70. Quindi, quando abbiamo visto l'edificio, abbiamo pensato di farci un film.

Amélie van Elmbt: Ci siamo imbattute per caso, siamo entrate e ci siamo rese conto che si stava trasformando in un hotel di lusso. L'incontro con una degli attuali inquilini, Mel Easter, è stato estremamente motivante e lei è diventata un personaggio centrale nel film. Era lì in piedi nell'atrio e ha immediatamente attirato la nostra attenzione. Poi ci ha invitato nella sua stanza e ci ha raccontato la situazione, di quella cinquantina di residenti che vivono al suo interno nel caos del cantiere. A poco a poco, abbiamo capito che doveva essere girato un film su quegli ultimi residenti e su un'epoca che stava scomparendo. Quello che ci ha davvero motivate è stata la scoperta di ciò che il Chelsea è veramente oggi, al di là delle leggende.

Questo è il fascino del film, il fatto di aver lasciato le storie famose alle spalle ed essersi concentrato su ciò che è oggi, in questo processo di trasformazione. Immagino sia stata una decisione consapevole.
M.D.:
Sì, in primo luogo perché ci sono così tanti film e libri sul passato affascinante del Chelsea Hotel che abbiamo deciso di mettere tutto da parte e cercare davvero di essere lì in una posizione umile, conoscendo le persone che ci sono attualmente, percependolo come la loro casa. La nostra intenzione era quella di mantenere le distanze dalla mitologia e decostruirla. Volevamo far entrare il pubblico dalla porta di servizio del Chelsea Hotel e mostrare qualcosa di diverso da quello che la gente di solito immagina.

Presumo che ci fossero molte storie da raccontare: quali sono state le priorità nella scelta di quelle su cui puntare?
A.vE.:
È stato un processo organico. Mel, ad esempio, è diventata la nostra guida attraverso l'edificio sin dall'inizio, quindi è diventata naturalmente parte della trama del film. Ci ha presentato altre persone con cui siamo entrate in sintonia e siamo riuscite a costruire una storia attraverso le loro molteplici voci. Non abbiamo spinto nessuno a partecipare, venivano da noi volontariamente. La situazione è complessa anche perché molte persone sono contrarie alla ristrutturazione, ma non volevamo schierarci perché questo non è un film politico.

Il film è stato in gran parte sostenuto dalle istituzioni belghe, oltre a quelle svedesi. Come siete riuscite a convincere le istituzioni europee a investire in questo film molto americano?
M.D.:
Il Chelsea Hotel va oltre i confini e la sua storia è nota in tutto il mondo. In un certo senso appartiene al patrimonio culturale occidentale del XX secolo.

A.vE: C'è anche una connessione francese poiché l'architetto dell'edificio proviene dalla Francia, ma ciò che è universale è questa idea di un rifugio aperto dove tutti, di qualsiasi razza e sesso, possono trovare una stanza per sé. Presumo che i nostri sostenitori abbiano riconosciuto questo valore transfrontaliero.

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(Tradotto dall'inglese)

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