email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Italia / Francia

Matteo Frittelli • Produttore di Il Giardino che non c’è

“Volevamo un film che proiettasse il passato sul contemporaneo”

di 

- Il produttore della società Alto Piano parla dell’importanza della memoria come rinnovamento, e della veicolazione dei documentari d’arte

Matteo Frittelli  • Produttore di Il Giardino che non c’è

Matteo Frittelli è co-fondatore con Agostino Osio di Alto Piano srl, una casa di produzione italiana specializzata in progetti per l’arte e la cultura fondata nel 2017. A dicembre Alto Piano ha presentato al Torino Film festival Il Giardino che non c’è [+leggi anche:
intervista: Matteo Frittelli
scheda film
]
di Rä di Martino, un viaggio biografico dentro la vita dello scrittore Giorgio Bassani, il romanzo della sua vita Il Giardino dei Finzi-Contini. Nel docufilm appaiono anche Dominique Sanda e Lino Capolicchio, protagonisti del celebre adattamento cinematografico di Vittorio De Sica, Premio Oscar al miglior film straniero nel 1972.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Cineuropa: Il giardino dei Finzi-Contini è un’opera cinematografica e prima ancora letteraria fondamentale per la cultura italiana e il patrimonio internazionale. Come è stata coinvolta Alto Piano nel progetto?
Matteo Frittelli: Diversi anni fa lo scultore israeliano Dani Karavan, in visita a Ferrara, è rimasto colpito dal grande interessamento dei turisti per il Giardino dei Finzi Contini, realizzando che molte persone arrivano in città affascinate da questo libro, cercando delle tracce di esso nel tessuto urbano. Dov’è il giardino dei Finzi Contini? É una domanda reiterata e molto frequente a Ferrara. Dani ha pensato di realizzare per la città un’opera intitolata “Il giardino che non c’è” (ad oggi rimasta incompiuta). Sua figlia, Noa Karavan, prendendo spunto da questo, ha ideato il soggetto di un film documentario e me ne ha parlato. L’idea di poter investigare la capacità dell'arte di creare immaginari e, in qualche maniera, modellare la realtà stessa e la percezione che abbiamo di essa ci è sembrata da subito molto interessante, un soggetto con un grandissimo potenziale.

Che tipo di collaborazione avete avuto con la regista Rä Di Martino per questo film?
Abbiamo invitato Rä di Martino a dirigere il film per la grande ammirazione che abbiamo per il suo lavoro. Rä è un'artista visuale capace di evocare luoghi e immaginari complessi dentro le sue opere, inoltre si è confrontata spesso con gli archivi e con la ricerca delle influenze del cinema e dei media sui nostri comportamenti. Rä ha colto questa opportunità con grande interesse. Ha lavorato molto intensamente per sviluppare un trattamento adeguato e ha sicuramente portato al progetto una grande vitalità, anche attraverso l’ideazione di una sorta di metacinema, in cui il casting per un eventuale re-make del film approda nel documentario aprendo finestre molto interessanti e coinvolgenti.

La memoria è un tema fondamentale che attraversa il cinema documentario, dalle opere su Anna Frank all’Indonesia di Joshua Oppenheimer. Qui si incrocia con l’arte, il campo in cui Alto Piano è specializzata.
La trasformazione messa in atto dal processo creativo rende la memoria un momento di confronto, ma anche di rinnovamento. In qualche maniera abbiamo desiderato un film che volgendosi indietro, proiettasse uno sguardo sul contemporaneo. È infatti ancora oggi terribilmente rilevante la riflessione sulla polarizzazione sociale e su alcune tematiche affrontate da Bassani. Penso, per esempio, alla possibilità offerta ai protagonisti di isolarsi dalla realtà nel giardino della grande villa dei Finzi-Contini, mentre il mondo sta collassando sotto la stretta della dittatura e delle leggi razziali. Oppure all’universale questione di un amore non corrisposto, che affiora in tutto il libro. La meravigliosa intuizione di Rä di portare sul set giovani attori rende queste tematiche molto attuali, seppur a volte possano risultare circoscritte nella macchina scenica.

Il genere documentario indipendente e i cosiddetti contenuti alternativi soffrono di una distribuzione spesso difficoltosa e incerta, comunque necessariamente limitata in sala. Le piattaforme digitali offrono forse nuove possibilità. Qual è la tua esperienza e il tuo pensiero sulla circolazione, nazionale e internazionale, dei prodotti audiovisivi d’arte e cultura, anche riguardo al supporto delle istituzioni?
Nel 2018 abbiamo presentato il progetto a Tel Aviv (CoPro), in Spagna (Medimed) e infine ad Amsterdam (IDFA). Abbiamo provato anche ad aderire al MIA, ma non abbiamo avuto successo. Dopo la nostra partecipazione ad IDFA, dove siamo riusciti a catturare l’attenzione di una ventina di commissioning editors, abbiamo firmato un contratto con il canale televisivo Arte France e una casa di produzione francese, Les Films du Poisson (co-produttore). Il film, quindi, esce come co-produzione Italia-Francia. Questo è stato essenziale per il successo della produzione. Non avremmo potuto realizzare questo film altrimenti. È stata una grande opportunità ed è stimolante notare come la Francia abbia creduto in questo progetto velocemente, fin dall’inizio. Abbiamo inoltre avuto un forte interessamento da parte degli ambienti diplomatici, ambasciate e istituti di cultura all’estero, che hanno colto un valore di dialogo internazionale per questo film, offrendoci sostegno nella promozione e opportunità di presentarlo. Ora siamo in una fase di trattativa con alcune agenzie per la vendita internazionale. Probabilmente le piattaforme digitali offrono delle occasioni potenzialmente maggiori rispetto ai broadcast televisivi, per questo genere di produzioni. In Italia abbiamo diverse realtà, alcune ci hanno contattato recentemente con sollecitudine. Al tempo stesso, finora non siamo stati in grado di ricevere l’attenzione che immaginavamo dalle principali televisioni nazionali, pur avendo un soggetto così legato al nostro paese, con riferimenti culturali, storici e artistici di largo interesse.

È chiaro che ogni indipendente disegna una propria, difficoltosa, veicolazione. Specialmente sul territorio italiano. Gli investimenti fatti dalla Francia per la cosiddetta “industria culturale” hanno generato risultati importanti in termini di sviluppo e sostegno per iniziative come la nostra. L’Italia non ha ancora intrapreso questa strada, almeno non con la stessa determinazione... ma avremo presto, mi auguro, buone notizie!

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy