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TRIESTE SCIENCE+FICTION 2021

Mattia Temponi • Regista di Nest

“La famiglia non è per niente un luogo sicuro”

di 

- Con il regista italiano esordiente abbiamo discusso del suo film horror in concorso al Trieste Science+Fiction Festival

Mattia Temponi • Regista di Nest

Al Trieste Science+Fiction Festival abbiamo incontrato Mattia Temponi, al suo primo lungometraggio con Nest [+leggi anche:
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intervista: Mattia Temponi
scheda film
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, in selezione ufficiale. Una ragazza (Blu Yoshimi) e un volontario (Luciano Cáceres), sono rinchiusi in un rifugio, al riparo da una pandemia zombie. Un mix tra horror e pièce teatrale che, dopo la pandemia è diventato lo specchio del mondo reale.

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Cineuropa: Ambientato in un luogo imprecisato, il film è recitato in spagnolo. Come è nata questa collaborazione tra Italia e Argentina?
Mattia Temponi: L’incontro con la produttrice Rosanna Seregni è stato fondamentale. La sceneggiatura scritta nel 2015 con Gabriele Gallo e Mattia Puleo si prestava a molteplici soluzioni produttive. Capendo quelli che allora erano i limiti e le potenzialità della storia Rosanna ha avuto immediatamente l’intuizione dell’America Latina, e ha proposto la partecipazione a Blood Window, una sezione dedicata al cinema di genere del Ventana Sur.  È stata ovviamente un'esperienza straordinaria. Lei ha consolidato l’idea di una coproduzione con l’Argentina ma anche della lingua spagnola per rendere il film internazionale.  Doveva essere una collaborazione che non fosse solo finanziaria, che non riguardasse solo le vendite estere e il mercato potenziale ma che fosse anche artistica. Questo mi ha permesso non solo di lavorare con un attore, Luciano Cáceres, che io definisco senza esagerare il migliore della sua generazione, ma anche con un musicista grandissimo come Julián Vat, direttore del Quinteto Fundación Astor Piazzolla. Solamente l’Argentina avrebbe potuto dare questo contributo artistico.

Lo score del film è infatti piuttosto distante da quelli classici dei film horror.
Anche quando non è il tango, la musica argentina si porta dietro quell'anima che coniuga amore, vita e morte, con un languore costante che non entra mai nel film in modo prepotente.  

Ci parli dei misteriosi esagoni che sembrano dominare la scenografia?
Con la scenografa Giada Calabria abbiamo avuto subito un approccio prima tematico e poi visivo, con l’idea che “il nido” rappresentasse una società estremamente irrigidita, settoriale e quindi abbiamo cercato una figura che si replicasse in maniera ossessiva: l’esagono in natura è la figura geometrica che occupa in maniera più efficiente lo spazio, come le le celle dell’alveare.

Come è stato girare in un ambiente ristretto con solo due attori?
È stata una grande sfida. Ho deciso che la soluzione migliore era pensare il film come un ballo, un ballo di allontanamento e avvicinamento, violenza e seduzione e dolcezza. Abbiamo lavorato molto con gli attori e la macchina da presa è diventata qualcosa che galleggiava intorno a loro, i molti piani sequenza che ci sono nel film nascono anche da questo.

Il covid-19 ha influito sul film e in generale sta influendo sul cinema?
La sceneggiatura era già scritta, funzionava e aveva ricevuto i finanziamenti, quindi era “blindata”.  Certamente, man mano che giravamo, ci dicevamo che quella cosa, cioè una pericolosa pandemia, l’avevamo vista accadere per davvero. Però credo che dovesse esserci qualcosa che stava già lavorando nell'inconscio degli autori, degli sceneggiatori. In qualche modo sapevamo che la prossima crisi non sarebbe stata un'altra guerra mondiale ma qualcosa di più naturale. Forse pensavamo soprattutto alla crisi climatica…

C’è un argomento non secondario, quello della violenza domestica, soprattutto sulla donna.
È stato il tema principale nella scrittura della sceneggiatura: l’idea di parlare di quello che appare come un luogo sicuro, che in realtà non lo è, quello che appare come il “salvatore” e che in realtà non lo è quello che appare come il mostro che in realtà non lo è.  Volevamo sovvertire il vizio di forma del genere zombie, nato negli USA: quando arriva l'apocalisse zombie la società si disintegra e l'unica cosa che ci rimane è la famiglia.  Assolutamente falso, anzi molto spesso, proprio perché è un'istituzione fin troppo gerarchica e rigida, non è per niente un luogo sicuro. E questo non vale solo per le donne, anche se indubbiamente sono le vittime principali del patriarcato, è pericolosa anche per tanti altri che eventualmente non rispondono alla classica definizione di mascolinità o di normalità.

Continuerai a fare film horror?
Il cinema in cui mi trovo più a mio agio è il cinema di genere perché c'è sempre una metafora che entra nella narrazione e ti permette di vedere il mondo da un certo punto di vista, senza dire le cose esplicitamente.

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