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Slovacchia / Repubblica Ceca / Polonia / Germania

Peter Bebjak • Regista di The Auschwitz Report

"Credo che stiamo vivendo in tempi in cui abbiamo bisogno di film eroici su persone che avevano una missione importante"

di 

- Il prolifico regista slovacco parla del suo progetto più ambizioso, presentato in anteprima nazionale e negli Stati Uniti

Peter Bebjak • Regista di The Auschwitz Report
Peter Bebjak sul set di The Auschwitz Report (© DNA Production)

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intervista: Peter Bebjak
scheda film
]
, il progetto più ambizioso del prolifico regista slovacco Peter Bebjak, è appena uscito nelle sale nazionali e negli Stati Uniti. The Auschwitz Report è il primo adattamento cinematografico della fuga dal campo di sterminio di Alfred Wetzler e Rudolf Vrba, e il film è stato la candidatura slovacca alla corsa agli Oscar, nella categoria miglior film internazionale. Cineuropa ha parlato con il regista della sua visione e del suo approccio nei confronti di questa storia singolare dell'Olocausto.

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Cineuropa: Alfred Wetzler e Rudolf Vrba hanno entrambi scritto un libro di memorie sulle loro esperienze. Perché hai scelto di utilizzare il racconto di Wetzler?
Peter Bebjak:
Mi è piaciuta la forma che ha usato per il suo racconto. Non si tratta di una grande storia con colpi di scena, ma piuttosto di situazioni e momenti catturati da qualcuno che è sopravvissuto al campo di sterminio e che sta mettendo su carta i suoi ricordi. Incontriamo il protagonista quando viene caricato sui mezzi ferroviari per essere trasportato in un campo di lavoro. Dopo il loro arrivo, scoprono di essere stati portati ad Auschwitz e, passo dopo passo, scoprono di essere in una fabbrica della morte. Il libro segue poi le scene della loro fuga a Žilina, ciò che seguì dopo la stesura del loro referto [il cosiddetto referto Vrba-Wetzler, parte dei Protocolli di Auschwitz], e la loro vita privata. Abbiamo scelto i momenti più importanti del libro, ma la storia si basa su informazioni acquisite da libri e film, dalla nostra visita ad Auschwitz e da colloqui con storici e docenti che ci hanno spiegato il funzionamento del campo.

Ci sono parti inventate nel film?
Non dal punto di vista della verità storica. La storia è divisa in tre parti: la prima è la fuga, e si svolge nel campo; la seconda è l'attraversamento del confine e l'arrivo a Žilina; l'ultima è la persuasione del funzionario della Croce Rossa. Ogni parte è stata concepita in modo diverso, perché anche nella prima fase non seguiamo solo i protagonisti, Vrba e Wetzler, nascosti nella buca, ma anche la storia dei loro compagni di prigionia della baracca numero 9 e di come hanno dovuto affrontare le ricadute della fuga e quelle con l'ufficiale nazista.

I film sull'Olocausto sono un genere a sé stante. Avete pensato a come rendere The Auschwitz Report diverso dai film precedenti, dal punto di vista formale e non solo?
Non abbiamo pensato a questo aspetto, e ci sono diverse ragioni al riguardo. È la prima volta che la fuga di Wetzler e Vrba viene adattata in un film live-action. Personalmente, credo che stiamo vivendo in tempi in cui abbiamo bisogno di film eroici su persone che non hanno rischiato solo la vita, ma che avevano una missione importante. Sapevano perché dovevano fuggire: la loro missione era portare la loro testimonianza al mondo, e il mondo doveva reagire. La seconda ragione per cui non ho pensato di rendere il film consapevolmente diverso rispetto ad altri film sull'Olocausto è che penso che abbiamo bisogno di più film di questo tipo, perché tendiamo a dimenticare il passato e ci piace ripetere gli stessi errori.

Sembra che tu abbia voluto differenziare il film attraverso la sua fotografia, dato che il direttore della fotografia Martin Žiaran si concentra maggiormente sui dettagli dei volti delle persone, creando un'atmosfera claustrofobica.
L'approccio a come girare la storia per renderla diversa dai film sull'Olocausto precedenti non è stato deciso consapevolmente in questo modo, ma piuttosto è stato scaturito dalla trama. Come ho detto, avevamo tre parti diverse e per ognuna di esse abbiamo utilizzato tre approcci diversi di espressione cinematografica, attraverso la macchina da presa, la messa in scena e l'illuminazione. Più i protagonisti si avvicinano a Žilina, più la macchina da presa diventa espressiva. Abbiamo creato una nostra filosofia o ideologia per la macchina da presa. Usiamo la macchina da presa a mano quando siamo con i protagonisti, quando sono sdraiati nella buca. Quando scappano e li vediamo affaticati, l'effetto traballante della macchina da presa viene amplificato in modo che noi, come spettatori, possiamo vivere psicologicamente quello che sta succedendo nelle loro teste. Poi, però, arriva il finale, che si svolge in un'unica inquadratura: quella di 13 minuti con John Hannah, che interpreta Warren. Volevamo sottolineare il potere delle parole e possiamo osservare come le parole del referto abbiano un certo effetto su Warren.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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