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Francia / Germania / Italia / Belgio

Bruno Dumont • Regista di France

"L'idea è di trovare la grazia nel presente senza eliminare le turpitudini della natura umana"

di 

- Il regista francese ci parla del suo nuovo film, presentato in concorso a Cannes e lanciato oggi nelle sale francesi

Bruno Dumont • Regista di France

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con cui partecipa per la quarta volta al concorso di Cannes. Ma l’ex professore di filosofia non è il tipo che cerca di mettere d’accordo tutti e questo è un bene. Abbiamo incontrato il regista sulla Croisette il giorno dopo la prima mondiale del film, lanciato oggi nelle sale francesi da ARP Sélection.

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, perché ha deciso di realizzare un film incentrato sulla Francia odierna?
Bruno Dumont: I due film Jeannette e Jeanne ci fanno immergere nella poesia, nel Medioevo e nel pensiero di un autore, Charles Péguy che ho trovato molto interessante anche per comprendere la modernità. È per questo motivo che France ha avuto per molto tempo il titolo Un demi-clair matin, ma non si tratta di un adattamento. Ho scritto il copione prendendo ispirazione da un incontro con Léa Seydoux. Abbiamo il desiderio comune di viaggiare insieme. Ciò che amo di lei, è la sua capacità di essere sia una star del cinema che al tempo stesso una persona come tutte le altre, poiché è molto semplice, simpatica, divertente e naturale. Tutto ciò che dice e fa il personaggio di France fa parte della natura di Péguy, con questo suo modo di rifiutare un futuro migliore, di interessarsi soltanto del presente e di essere un po’ cinico. Ho fatto ricorso all’ambito mediatico poiché avevo bisogno di una tematica contemporanea e che rappresentasse veramente la modernità. Ma i media non mi interessano al di là di ciò. Le critiche sui media si conoscono già, e non ho nulla da aggiungere a riguardo. Ciò che mi interessa è France, entrare in questo personaggio che rappresenta al tempo stesso l’ambiente in cui vive, ma da cui comincerà a prendere le distanze.

France è il cinismo in persona: è un modo per proteggere la propria vulnerabilità o un modo di essere necessario per vivere nel suo ambiente?
Lei è cinica perché il mestiere è cinico con un enorme divario tra il tipo di prestazione richiesto dall’industria e dal pubblico, e la consapevolezza e la nobiltà del mestiere. Il cinismo è questo “in” e questo “off” di cui si sente parlare continuamente. I media hanno eliminato del tutto l’“off”: tutto è bello, pulito, igienico. È questo che è cinico: France sorride di fronte alla telecamera, ma dietro se la ride. Ma questo cinismo è la natura delle cose del mondo odierno, non la sua. Lei riuscirà ad aprire gli occhi, poiché è molto umana: rappresenta al tempo stesso l’ambiente in cui vive e il modo per distaccarsene. Alcuni giornalisti sono completamente alienati dal sistema poiché assumono la forma della loro funzione, ma nessuno è obbligato a farlo.

Che tipo di equilibrio cerca tra la costruzione del personaggio di France e la sua rappresentazione della società della Francia?
Ciò che mi interessa è esplorare la natura umana. È per questo che il personaggio è completamente esagerato: piange tutto il tempo, il suo appartamento e la sua macchina non hanno in realtà alcun significato. Non rappresento la verità di questo mondo bensì una sua trasfigurazione, ma in un ambiente in cui vi sono persone vere. Il suo nome è France, da qui si capisce subito il parallelismo.

È molto francese poiché vi è in lei una continua ricerca della propria identità. Al tempo stesso rimane un mistero poiché ha una personalità molto complessa. Non volevo renderla più semplice, non è né bianca né nera: è grigia. Non l’ho resa una santa: non abbandona la sua carriera di giornalista alla fine. Poiché bisogna perseverare e crescere, anche di poco, nel proprio mestiere, fare del proprio meglio. L’idea non è partire nel deserto con un agnello sulle spalle. Questo è tipico di Péguy: trovare la grazia nel presente senza eliminare le turpitudini della natura umana.

Cosa pensa del possibile malinteso tra la percezione superficiale della satira del film e ciò che le interessa veramente, ovvero gli interrogativi metafisici?
Ho dato una certa complessità all’opera, ma si può comunque guardare soltanto il primo strato e dire che è piatta, pessima, ecc. Ho sempre fatto un cinema di questo tipo: do tanto e volontariamente non do risposte. Altrimenti, bisognerebbe mettere tutto in evidenza ed entrare in un’estetica che non mi piace affatto. Amo molto la complessità di France e mi rendo conto che non sempre viene percepita come dovrebbe, alcuni comprendono molto bene la trasfigurazione mentre altri invece la considerano solo superficialmente, ma è lo spettatore a farlo, non io. Non voglio forzare nulla, penso che il cinema sia uno specchio, all’interno del quale le persone si riflettono, e si vedono per ciò che sono. Voglio portare avanti il mistero, la complessità, la profondità senza spiegare tutto agli spettatori, far decidere a loro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Non ci rinuncerò mai, mi rifiuto di modificare il mio lavoro per renderlo pronto all’uso. La vera domanda è quella relativa alla caricatura e alla satira. In effetti, oggi vi sono persone che non sono in grado di cogliere cose che vanno al di là dell’apparenza. Ebbene, si sbagliano. La società digitale ha appiattito tutti i gradi della percezione: c’è un solo grado. Bisogna interrogarsi su questo nuovo pensiero digitale dove c’è comunque molto di falso. Osservando ciò che accade nel mondo digitale, notiamo che tutti quei piccoli schermi diffondono il cinema, le immagini montate, tagliate, e dunque la finzione. Ma si può comunque ricavare del vero da essa. Come nel mio film: è volontariamente basato su fatti inventati, ma rappresenta qualcosa di vero.

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(Tradotto dal francese da Ilaria Croce)

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