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CANNES 2021 Concorso

Catherine Corsini • Regista di Parigi, tutto in una notte

"Considerare se stessi, considerare gli altri e avere la speranza che le persone possano parlare tra loro"

di 

- CANNES 2021: La cineasta francese parla del suo film divertente e drammatico presentato in concorso, che si tuffa in una notte molto agitata in ospedale

Catherine Corsini  • Regista di Parigi, tutto in una notte
(© Chaz Productions)

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recensione
trailer
intervista: Catherine Corsini
scheda film
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(La Fracture), presentato in concorso al 74˚ Festival di Cannes, Catherine Corsini intreccia in una sola notte di ospedale diverse questioni sociali scottanti che dividono la Francia.

Cineuropa: Come è nata l’idea di unire in un film le crisi dei gilet gialli e dei camici bianchi?
Catherine Corsini: Volevo realizzare un film che parlasse di attualità e dell’impegno politico, ma non ero molto sicura su come entrare nel vivo di queste tematiche. E come nel film, poiché l’attrice mi rappresenta molto, sono caduta, mi sono rotta il gomito e mi sono ritrovata al pronto soccorso il 1˚ dicembre 2018, il giorno dell’atto primo dei gilet gialli. Dunque ho fatto un collage un po’ surrealista. Vi era anche qualcosa di abbastanza surrealista per quanto riguardava i gilet gialli che hanno occupato le rotonde che erano dei luoghi che non servivano a nulla e gli hanno ridato vita. E poi il simbolo del gilet giallo! Trovavo vi fossero cose abbastanza divertenti e a tutto questo ho aggiunto la notte trascorsa al pronto soccorso, il lavoro dei medici, e il fatto che fossi imbottita di farmaci. Ho avuto una prima visione e ho detto alla mia amica che questa notte trascorsa al pronto soccorso avrebbe rappresentato uno scenario abbastanza incredibile.

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Vi è anche un lato alla fratelli Marx: il voler mettere tutto all’interno di uno scatola di scarpe, il voler comprimere e scuotere tutto per creare del dinamismo. E anche l’idea di voler portare avanti l’aspetto intimo e politico. Tuttavia vi erano molti ostacoli come il dover avere una funzione didattica e il dover fornire degli insegnamenti. Mi sono detta che fosse necessario posizionare il film dal mio punto di vista, quello di una donna di una certa età che ha già una posizione sociale, che è diversa dalle persone che incontra, e mostrare in che modo gli scambi comunicativi mettono in crisi ciò in cui essa crede, e sconvolgono anche gli altri personaggi che sono presi da ciò che rappresentano. Inoltre l’ospedale ci rende tutti uguali di fronte alla malattia, alla sofferenza, alle debolezze che dobbiamo affrontare. Ci sono momenti della nostra vita che ad un certo punto vengono interrotti: si va da qualche parte e paf, ci si ritrova in ospedale che a dire il vero non è un luogo in cui si ha voglia di essere. È un luogo in cui tutto rimane sospeso e in cui si è obbligati a riconsiderare ciò che ci circonda. La trama del film è incentrata sul fatto di entrare in ospedale e uscirne: è il racconto di una notte e di tutti gli eventi che si accumulano. Ne usciamo provando il sentimento di averne avuto abbastanza, pensando che finalmente abbiamo una terapia o che siamo guariti, ad ogni modo siamo consapevoli del nostro stato di salute. Mostrare come si esce da questo luogo e come ci si entra, è questo l’obiettivo di tutto il film, mostrare cosa accadrà durante questa notte.

Inizialmente, tutte queste persone che sono di passaggio all’ospedale non si ascoltano ma finiranno per farlo, ciascuno rimanendo tuttavia al suo posto.
Perché ognuno ha un’identità abbastanza forte, rappresenta una classe sociale, un luogo, un mestiere. Hanno tutti in comune il fatto di appartenere al mondo del lavoro: non poter più disegnare a causa del gomito rotto è un incubo per il personaggio di Raf, il personaggio di Yann non può più guidare il suo camion, e sullo sfondo vi è il mondo ospedaliero che lavora senza sosta. L’idea metaforica è che questo ospedale, sotto pressione per l’enorme quantità di persone che arrivano, è in una situazione insostenibile: la società è in crisi, le persone sono provate dagli eventi politici del momento, ma anche dalle cose più banali (aver sbattuto la testa contro uno scaffale, essersi tagliati la mano, ecc.). È una sorta di sovraffollamento che mi piaceva: un continuo afflusso di persone. Mi sono documentata, ho trascorso molte notti in ospedale insieme alle infermiere e accadono cose allucinanti, stravaganti. Sono sommersi, e si percepisce una società che degenera, soffre e che cerca un rifugio in un luogo che ha sempre meno mezzi per rispondere a questa emergenza. Ciò è divenuto ancora più evidente con la crisi del Covid che ha amplificato questi terribili momenti vissuti da tutta la categoria dei medici.

Il film è una metafora di una Francia che è in grande difficoltà, ma che rimane in vita.
Le persone sono concentrate sul loro malessere, sui loro dolorini, si domandano come saranno curati, ma guardano anche l’altra persona che hanno accanto, e ad un certo punto cominciano a comunicare: “E a lei come va?”. Bisogna smettere di guardare le persone dall’alto in basso. Il film parla di questo: considerare se stessi, considerare gli altri e avere la speranza che le persone possano parlare tra loro, e che possano comunicare attraverso la parola, lo sguardo e l’accettazione dell’altro.

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(Tradotto dal francese da Ilaria Croce)

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