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ICEDOCS 2021

Alina Gorlova • Regista di This Rain Will Never Stop

“Volevo creare un sogno, più di ogni altra cosa”

di 

- Nel suo film vincitore a IceDocs, la regista ucraina mostra il circolo vizioso del conflitto

Alina Gorlova  • Regista di This Rain Will Never Stop

Recentemente nominato vincitore della terza edizione dell'IceDocs - Iceland Documentary Film Festival, This Rain Will Never Stop [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Alina Gorlova
scheda film
]
di Alina Gorlova - girato in bianco e nero da Viacheslav Tsvietkov - presenta Andriy, nato in Siria da padre curdo e madre ucraina. Cresciuto in mezzo alla guerra, inclusa quella nel Donbass, sta ancora cercando di trovare la sua strada - e di rivedere la sua famiglia, dispersa ovunque.

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Cineuropa: Molte storie di guerra e di rifugiati tendono ad avere un aspetto più crudo, quasi come se i registi avessero paura di " rendere glamour" l'esperienza. Ma in questo caso non è così, grazie alla fotografia in bianco e nero.
Alina Gorlova: Ho sentito molti commenti al riguardo, con persone che dicevano: "Dobbiamo mostrare la guerra così com'è". Che, per loro, significava molto crudele e cruda. Capisco questo ragionamento, ma ero sicura che fosse la scelta giusta per il film: volevo creare un'esperienza per lo spettatore. Nessuno dice che la guerra non sia brutta, ma allora perché si ripete? Forse è solo una parte di noi, della nostra psiche? Durante le riprese, sono giunta alla conclusione che tutti abbiamo bisogno di una ragione: una ragione per combattere per qualcosa. Può essere la guerra, ma anche l'amore. La nostra vita è davvero tutta una questione di equilibrio: le cose belle accadono, ma anche quelle brutte. Parlando di guerra e di pace, mi sembrava logico usare il bianco e nero. Cattura perfettamente questi due lati.

Andriy è una persona interessante da seguire perché sembra sempre in bilico: tra una guerra e l'altra, tra un'identità e l'altra. È questo che ti ha affascinato di lui?
All'inizio del film, sembra che siamo appena arrivati lì e stiamo cercando qualcuno tra la folla. Si capisce che è il protagonista solo dopo un quarto d'ora. Alla fine, cominciamo a perderlo di nuovo. È cresciuto in queste situazioni, quando ha deciso di lavorare per la Croce Rossa, è stata una sua scelta, ma allo stesso tempo non lo è stata affatto. Non ha scelto il suo destino, non proprio almeno. Era un po’ perso; si sentiva in conflitto con la sua religione, per esempio, cosa che non viene mostrata nel film, ci sono state molte crisi. Non c'è da stupirsi: entrambe le sue patrie sono in guerra. Non stiamo parlando dell'Ucraina, perché se si va a Kiev non si sospetta nemmeno che ci sia qualcosa in corso. Ma la madre di Andriy viene dalla regione del Donbass, lui dalla Siria e, come se non bastasse, è curdo. Ci sono così tanti strati in questa storia.

C'è qualcosa di fiabesco nel suo viaggio, perché nel film non vengono fornite molte informazioni. Ci vuole un po' per capire dove è diretto e chi incontra.
Credo che il cinema, in generale, a volte sia come un sogno. Se dovessimo aggiungere tutte le didascalie e le descrizioni, ci sarebbe più contesto, certo, ma questo film non ne ha davvero bisogno. Ogni tanto, quando mettevo in discussione questo approccio, mi ricordavo che ho sempre voluto creare un sogno, più di ogni altra cosa. Devo dire che Andriy era molto giovane quando lo abbiamo girato, aveva circa 20 anni. All'inizio non è stato facile per lui lasciarci entrare. Abbiamo avuto problemi di comunicazione e solo in seguito abbiamo iniziato a capirci.

Come si fa a trovare la via giusta come regista in questi casi? Soprattutto quando qualcuno si chiude in questo modo?
Non ci sono soluzioni magiche: è tutta una questione di tempo. Il tempo è un aspetto molto importante nei documentari. Bisogna essere aperti e onesti e chiedersi per quale motivo si vuole fare questo film. Perché è così importante? Andriy è cresciuto in Siria e all'epoca non aveva molti amici, ed è per questo che ho voluto dargli tutto questo supporto aggiuntivo. All'inizio c'era un muro tra noi, poi abbiamo parlato della sua vita, delle sue relazioni, di tutto quello che succedeva. Per questo non è un documentario osservativo, non del tutto, perché non credo che ci sia stata distanza tra noi. D'altronde, c'è mai davvero una distanza?

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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