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D'A 2021

Borja de la Vega • Regista di Mia y Moi

"Conosco molto bene gli attori, le loro paure e preoccupazioni"

di 

- L'agente cinematografico fa il suo debutto nella regia di lungometraggi con un dramma familiare che è stato presentato in anteprima all'11ma edizione del D’A Film Festival di Barcellona

Borja de la Vega • Regista di Mia y Moi
(© Matteo Rovella)

Finora, il nome Borja de la Vega (Barcellona, 1975) è stato associato all’agenzia di attori Kuranda. Ma da questo momento in poi, sarà riconducibile anche al mondo della regia cinematografica, poiché ha appena presentato, nella sezione competitiva Talents del D’A Film Festival, il suo primo film: Mia y Moi [+leggi anche:
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, un dramma familiare interpretato da Bruna Cusí, Ricardo Gómez, Eneko Sagardoy e Joe Manjón, che uscirà nelle sale spagnole il 21 maggio, tramite la società di produzione Toned Media.

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Cineuropa: Prima di diventare un agente, ha lavorato in altri campi dell’industria audiovisiva?
Borja de la Vega: Si, per nove anni ho lavorato nel settore marketing della Fox e Universal, mi occupavo dei video lanci. Poi ho deciso di voler rappresentare gli attori. Inizialmente avevo la mia piccola agenzia, ora sono sette anni e mezzo che lavoro con Kuranda.

Come ha realizzato che le interessava lavorare in un settore così di nicchia?
Sin da bambino ho sempre detto alla mia famiglia che avrei voluto dirigere i film, poi però la vita mi ha fatto intraprendere un’altra strada: sebbene avessi studiato Comunicazione Audiovisiva, non ho mai avuto la determinazione per mettere in scena ciò che scrivevo. Dunque, ho iniziato a lavorare in un altro campo, però mi è sempre piaciuto molto seguire attentamente la carriera di attori e attrici: da bambino dedicavo molto tempo a pianificare le carriere di attori (immaginari). Poi un mio amico mi ha detto che ero portato per scoprire talenti, ed effettivamente aveva ragione.

Quando ha deciso di buttarsi ed iniziare a dirigere gli attori (e non più solo rappresentarli)?
Ho prodotto qualche scritto, alcuni di questi abbiamo anche cercato di svilupparli. Però, l’origine di questo film è stata una conversazione quasi scherzosa che ho avuto con Bruna e Ricardo: gli ho detto che avrebbero dovuto lavorare insieme, e quindi lui mi ha proposto di scrivergli un copione. Quella stessa notte non sono riuscito a dormire ed ho scritto un trattamento di otto pagine, nel quale loro erano due fratelli che nascondevano un segreto e avevano una relazione speciale: è molto simile a quello che abbiamo girato alla fine. Alle sette del mattino gliel’ho inviato e mi hanno detto che gli piaceva molto: nel giro di due mesi avevo pronta la bozza del copione di Mia y Moi.

Ha prodotto il film lei stesso?
Si, assolutamente. Ricardo mi ha aiutato a produrlo, perché volevamo iniziare a girarlo entro una data stabilita, per non lasciare che l’entusiasmo svanisse.

Essere l’agente degli attori aiuta a dirigerli di fronte alla camera?
Ho dovuto superare un certo pudore, perché conosco gli attori da un punto di vista completamente differente. Un regista che si presenta con un progetto, imposta già una relazione di lavoro, io invece dovevo stabilire questo tipo di rapporto con persone con le quali parlo quotidianamente di contratti, provini, casting. Dovevamo dimenticarci improvvisamente tutto questo, ed inoltre, i miei attori avevano più esperienza di me sul set, il che mi metteva un po’ in imbarazzo, però loro hanno completamente separato i due contesti e non mi hanno mai fatto sentire inferiore. Anzi, è successo l’esatto contrario, perché abbiamo stabilito una relazione tranquilla e non si è creata alcun tipo di confusione. È vero che li conosco molto bene, con le loro paure e preoccupazioni: so come parlare a questi attori e sì, in questo senso, ho un’esperienza tale nell’approcciarmi con loro che è stata senz’altro utile.

Non possiamo non chiederle se c’è qualcosa di autobiografico nel suo film d’esordio…
No, niente, fortunatamente… non c’è niente di autobiografico in quello che accade nel film o nel rapporto che ha questa famiglia. La storia è ambientata in Catalogna, vicino a dove sono cresciuto e ci sono state cose, durante la pre-produzione, che mi hanno fatto pensare alla mia infanzia, e all’interno del film ci sono sensazioni quotidiane, come quando giocano a carte o a monopoli.

Perché ha scelto di affrontare un argomento così delicato, come la violenza e il maltrattamento, come prima esperienza da regista?
Non c’è stata una motivazione specifica, sebbene mi preoccupino questi temi, ovviamente. Avevo in mente il personaggio di questa ragazza, che si trovava in una relazione abusiva, e mentre lo scrivevo ho iniziato a pensare anche da cosa potesse derivare questo. Mi sono interessato a come la storia implicita dei suoi genitori l’avesse colpita: stavo raccontando la storia di due fratelli condizionati dalla loro infanzia. Credo che, quando si trattano temi di questo genere, sia importante farlo con rispetto e nel modo più veritiero possibile.

C’è stato qualche film che l’ha influenzata per la creazione di questo?
Ho dei gusti eclettici, quindi direi tutto da Scorsese e Polanski a Sofia Coppola o Xavier Dolan, però ce ne è uno in particolare che mi ha influenzato, La enfermedad del domingo [+leggi anche:
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intervista: Ramón Salazar
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di Ramón Salazar.

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(Tradotto dallo spagnolo da Chiara Morettini)

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