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VISIONS DU RÉEL 2021 Concorso

Aïcha Macky • Regista di Zinder

"Sono fortunata ad avere in mio possesso uno strumento potente che può aiutare a far sentire delle voci"

di 

- Il secondo lungometraggio documentario della regista nigerina è ambientato nella sua città natale, Zinder

Aïcha Macky • Regista di Zinder

Nel suo ultimo documentario Zinder [+leggi anche:
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intervista: Aïcha Macky
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, mostrato in anteprima e in competizione al festival Visions du Réel di quest’anno, Aïcha Macky segue la storia dei tre protagonisti principali a Kara-Kara, un quartiere della città nigerina di Zinder, noto per essere stato il luogo in cui vivevano i lebbrosi. Abbiamo parlato con la regista riguardo all’approccio che ha avuto nei confronti di questo ambiente prevalentemente maschile e l’impatto che questo film ha avuto su di lei.

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Cineuropa: Perché è così importante per lei trattare nei suoi film argomenti connessi alle sue origini?
Aïcha Macky: Perché cercare in lontananza quando proprio vicino a me ci sono veli da sollevare, demoni da esprimere a parole? Sono fortunata ad avere in mio possesso uno strumento potente che mi permette di far sentire voci come queste che si fanno sentire meno, o non si sentono affatto. È questo strumento che voglio mettere a disposizione della mia comunità.

Come ha trovato i protagonisti?
Otto anni fa, all’inizio della mia carriera, ho avuto accesso ai palais perché ero una volontaria del progetto “Search for Common Ground”. Stavo preparando i giovani ad opporsi all’estremismo violento. Ho conosciuto alcuni giovani che facevano parte delle gang o che avessero legami stretti con queste. In particolare, ho incontrato tre di loro con esperienze molto particolari alle spalle e che sono anche adulti. Questo mi ha permesso di confrontarmici da vicino. Non potevo e non volevo relazionarmi con adolescenti dal volto corrucciato, drogati e fin troppo manipolabili. I tre che ho scelto di seguire, invece, erano più che adolescenti, erano adulti come me. Mi hanno parlato di come è la vita quotidiana all’interno delle gang, vorrebbero potersene andare.

Non è stato complicato convincerli ad aprirsi con lei?
Naturalmente sì, quando sei di fronte ad uno sconosciuto, immediatamente diventi diffidente. La questione del mio status è emersa molto all’inizio. La gente si chiedeva se fossi una poliziotta e se volessi indagare ed infiltrarmi nella rete di spacciatori di droghe. Secondo altri invece, ero una spacciatrice che voleva approcciarsi ai giovani per integrarli all’interno del mio traffico. Quando hanno capito che ero della città e che avevo la mia famiglia lì, hanno iniziato ad aprirsi.

A parte le riprese con Ramsess, è riuscita a filmare apertamente o ha dovuto nascondere la camera?
Non abbiamo nascosto la camera. Abbiamo filmato nel modo più discreto possibile per non attirare l’attenzione. C’erano molte persone che volevano che mi interessassi alle loro gang e puntassi i riflettori su di loro. Quelle erano persone abituate a parlare per merito di questi giovani e a deviare i finanziamenti destinati ad essi. Ad un certo punto, era diventato molestia.

Qual è il vero scopo del club “Hitler” di Siniya?
Ciò che contava per me era mostrare la relazione che essi avevano con il loro corpo. Questo desiderio di mettere su muscoli, per stare bene, per spaventare e minacciare l’altra parte attraverso la massa corporea. Chi è nato e cresciuto in questo quartiere, che storicamente era il quartiere di lebbrosi, deve essere in forma per trovarsi un posto nella società.

Ha sentito l’esigenza di spiegare a Siniya chi fosse realmente Hitler?
Inizialmente nel film c’era una intera sequenza dedicata ad Hitler. Sfortunatamente, non compare nella versione finale del film. Per alcuni Hitler è un sudafricano, amico di Shaka Zulu. Per altri, era un terribile americano che si è fatto un nome terrorizzando il mondo. Erano consapevoli del terrore che Hitler avesse seminato, ma non sapevano nulla del nazismo, o del significato della svastica, sebbene molti di loro ce l’avessero tatuata sul corpo.

Qual è la posizione delle donne in questo ambiente?
Direi quasi che le donne sono presenti in primo piano. Ramsess, per esempio, è la ninfa vitale: è grazie a lei che molti giovani hanno un lavoro, sebbene sia illegale. È lei che mette a rischio la sua vita per far sopravvivere gli altri. Ci sono anche altre donne, che ci permettono di vedere ogni tipo di violenza: fisica e verbale. Alla fine, c’è anche il mio punto di vista da regista.

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(Tradotto dall'inglese da Chiara Morettini)

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