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Spagna

Telmo Esnal • Regista di URtzen

"Questo film non può essere etichettato con un solo aggettivo"

di 

- Il regista basco lancia in Spagna questo documentario premiato (per i suoi valori ecologici) con il Premio Lurra di Greenpeace durante l'ultimo Festival di San Sebastian

Telmo Esnal • Regista di URtzen

L’ultima volta che abbiamo parlato di persona con Telmo Esnal, è stato durante il Festival di San Sebastian 2018 (leggi qui), quando ha presentato Dantza [+leggi anche:
trailer
making of
intervista: Telmo Esnal
scheda film
]
. Questa volta però, le circostanze ci obbligano ad utilizzare il telefono per comunicare con lui circa il suo ultimo film URtzen [+leggi anche:
intervista: Telmo Esnal
scheda film
]
, che presenterà in anteprima questo venerdì. Il film è stato presentato nella sezione Zinemira del Festival di San Sebastian 2020 e ha ricevuto il premio Lurra di Greenpeace per essere il film in concorso che meglio rappresenta i valori ambientali e di pace. La giuria è stata particolarmente colpita dall’importanza dell’acqua come elemento essenziale per la vita del pianeta. Il film sarà distribuito nei cinema spagnoli dalla Atera Films.

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Cineuropa: Da dove è nata la necessità di creare questo film nel bel mezzo della quarantena dello scorso anno?
T
elmo Esnal: È avvenuto esattamente ciò che racconta il film. Mentre stavo lavorando a Dantza, Pablo Azkue mi ha parlato del suo racconto UR, l’ho letto e ho fatto un’intervista con lui per vedere cosa poteva venirne fuori, però il tutto è finito lì. Durante la pandemia ho riguardato quegli appunti e mi è piaciuta la filosofia del racconto: noi e il pianeta siamo composti per il 70% da acqua, la quale si sposta da un posto all’altro, pertanto, se è contaminata, anche quella all’interno del nostro corpo lo sarà di conseguenza. Ero molto interessato all’argomento ma non sapevo bene come trattarlo. Avevo fatto tre interviste con lui e avevo un sacco di immagini… non sapevo cosa stessi cercando… Quando è iniziata la quarantena, stavo scrivendo un’altra sceneggiatura, ma quando l’ho terminata ho iniziato – come tutti – a lavare le finestre, a leggere e a vedere film. All’improvviso, un’intervista con Martín Caparrós che ho sentito in radio mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto vedere in che modo potevo rappresentare coerentemente ciò che narra il romanzo UR, utilizzando le immagini che già avevo. A quel punto ho iniziato anche a giocare con cose che trovavo su internet: interviste con scienziati e filosofi. Prima che me ne rendessi conto, avevo già un sacco di materiale per il film.

Che profonda differenza c’è tra la produzione di Dantza rispetto a quella di questo documentario!
Non ha nulla a che vedere, sebbene sia vero che Dantza mi ha dato molto, poiché dopo la sua produzione ho fatto sette documentari per spiegare tutte le idee contenute nel film. Questa è stata un’aggiunta che non mi è costata un centesimo, e ho anche imparato a utilizzare il programma Final Cut, che mi ha concesso di produrre URtzen da casa, con un semplice computer. È stata una questione di autosufficienza: nel cinema, noi registi dipendiamo sempre da altre persone, ma URtzen è qualcosa di piccolo ma bello e credo che abbia un messaggio forte e delle testimonianze molto interessanti. Mi ha dato molto questo film, ovviamente non in termini di denaro, ma se avessi puntato ai soldi non sarebbe stato lo stesso, e di certo non sarebbe stato coerente con il contenuto dell’opera, ossia che bisogna fermarsi ogni tanto nella vita e procedere a passo più lento, che questo continuo crescere non è sostenibile.

Come descriverebbe il suo film?
Sapevo già che sarebbe stato etichettato, per questo ho cercato di anticipare ciò descrivendolo come un collage e un saggio cinematografico: sono riflessioni sul mondo, sulla scienza e sull’esistenza. Chiaramente è un documentario con elementi di finzione, poiché lo stesso racconto UR lo è. Con Dantza è successo lo stesso: era una storia raccontata attraverso la danza. Ci sono alcune cose che non possono essere etichettate con un semplice aggettivo, e questo film è una di quelle.

Che idea vorrebbe che arrivasse in maniera chiara allo spettatore?
Mi piacerebbe che la gente riflettesse un po’ sul mondo nel quale viviamo, che vorremmo che diventasse e che vorremmo lasciare a coloro che verranno: noi ci resteremo al massimo un centinaio di anni, ma il pianeta continuerà ad esistere. Da ragazzo mi dicevano che quando andavo in qualche posto, dovevo lasciarlo come lo avevo trovato… o addirittura meglio, e ho la sensazione che lasceremo invece ai nostri figli un mondo peggiore di quello in cui abbiamo vissuto. Se il film servisse a far pensare, se potessimo contribuire in parte a sistemare tutto questo disordine… sarebbe ottimo. Alcuni spettatori si emozionano vedendolo e questo significa molto per me. È un film piccolo ma ha una virtù: lo spettatore si identifica con il messaggio, si convince di poter fare qualcosa di meglio, di poter contribuire a migliorare la situazione, ognuno a modo proprio. Questo film è solo una goccia, ma come direbbe Pablo Azkue: una goccia non cambia nulla, ma quando più gocce si uniscono creano un mare che può cambiare le cose.

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(Tradotto dallo spagnolo da Chiara Morettini)

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