email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

BERLINALE 2021 Generation

Igor Drljača • Regista di The White Fortress

"Ho dovuto affinare continuamente la narrazione poiché il paese stava diventando ancora meno ospitale per i suoi giovani"

di 

- BERLINALE 2021: Il regista bosniaco ci parla del suo lavoro con attori professionisti ed esordienti nel suo ultimo film, un ritratto realistico della Sarajevo contemporanea

Igor Drljača  • Regista di The White Fortress

Nel suo ultimo film, The White Fortress [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Igor Drljača
scheda film
]
, mostrato in anteprima alla Berlinale, nella sezione Generation 14 plus, il regista bosniaco Igor Drljača offre una visione del mondo in cui vivono i giovani della Bosnia.

Cineuropa: Come ha trasformato questa storia in una sceneggiatura, e in particolare, come ha deciso di passare dal crime drama alle storie d’amore adolescenziali in un modo così inaspettato e innovativo?
Igor Drljača: Quando ho deciso di creare questo film, non volevo rimanere legato a un genere, e quando elabori un film per così tanto tempo, hai anche la necessità di mantenerlo interessante.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Nonostante io mi imponga dei limiti nella creazione dei miei film, non mi piacciono quelli dettati dal genere, il genere dovrebbe sorgere in parte dalla storia, in maniera più organica. La regola che rispetto maggiormente nella realizzazione dei miei film è quella di non mostrare alcun tipo di violenza fisica sullo schermo. Credo che vedere l’effetto della violenza sia più forte e persuasivo della sua stessa attuazione.

Ho sempre voluto raccontare la gioventù di Sarajevo, e più in generale della Bosnia Erzegovina. In particolar modo, volevo rappresentare la generazione del dopoguerra: coloro che avrebbero ereditato il Paese, coloro che sono rimasti, ma non ci sono ancora film sulle sfide che essi affrontano.

I personaggi sono molto vivaci e realistici. La figura di Faruk è particolarmente interessante. Potrebbe spiegarci come lo ha creato?
Nelle mie opere mi piace mettere insieme attori professionisti e non attori. L’interazione tra i due approcci ha permesso una costruzione del lavoro più organica e un dialogo più autentico e variegato.

Ho seguito con entusiasmo la carriera di Pavle Čemerikić, divenuto uno dei giovani attori più brillanti della sua generazione nella regione bosniaco-croato-serba. Quando l’ho visto ricoprire un ruolo secondario in No One’s Child [+leggi anche:
recensione
trailer
scheda film
]
,  sono rimasto sbalordito dal fatto che qualcuno così giovane sapesse come vivere all’interno di un personaggio. Sin da giovanissimo, egli è stato in grado di interiorizzare l’angoscia, la speranza e i sogni di ogni suo personaggio.

Oltre a Čemerikić, presenta un mix di attori giovani ed esperti. Come li ha scelti e come ha lavorato con loro?
Considerando tutti gli attori che hanno fatto il provino, tra i pochi a cui ho offerto la parte c’è anche Ermin Bravo. Nel suo caso, farlo recitare nei panni del cattivo era qualcosa che avevo in mente già mentre scrivevo la parte all’interno del film. Egli ha un’energia tale che ho sempre considerato perfetta per un personaggio malvagio, anche se non ricordo di averlo mai visto recitare in un ruolo simile. Questa operazione di “casting against type” è qualcosa che considero sempre quando scelgo l’attore per ricoprire un ruolo.

Sumeja Dardagan l’abbiamo scoperta durante una open call, dopo aver visto centinaia di provini per la parte. Non aveva mai recitato in un film prima, ma da subito si è distinta per la sua capacità di minimizzare intuitivamente i gesti per la camera, e ciò ha aggiunto autenticità ai suoi dialoghi. È un miracolo quando qualcosa di simile accade.

Kerim Čutuna è uno studente della Sarajevo Film Academy e fa parte di quel gruppo crescente di giovani attori talentuosi a Sarajevo. Lavorare con tutti questi giovani attori è stato un dono, e la regione si è arricchita grazie alla presenza di così tanti attori talentuosi che stanno emergendo contemporaneamente. 

Lei dà un’immagine sociale dell’attuale Sarajevo estremamente realistica, concentrandosi anche sulle zone periferiche della città. Come è riuscito a crearla?
A Sarajevo i giovani stanno lottando per un futuro che gli era stato promesso ma che non è mai arrivato.

Nei miei film precedenti, ho documentato Alipašino, Dobrinja ed altre zone circostanti, specialmente nel cortometraggio Woman in Purple, film cugino a questo. Io sono cresciuto in queste zone della città e credo che rappresentino meglio la vera Sarajevo, rispetto al centro storico, scarsamente popolato, con i suoi monumenti facilmente riconoscibili e le numerose offerte turistiche.

Woman in Purple è stato il primo film che ho girato in Bosnia da quando ho lasciato Sarajevo durante la guerra, e mi ha fornito l’esperienza e la fiducia necessarie per realizzare The White Fortress. La bozza iniziale di The White Fortress esisteva già agli inizi del 2013, ci è voluto molto per finanziarlo. Ho dovuto affinare continuamente la narrazione poiché il paese stava diventando ancora meno ospitale per i suoi giovani.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dall'inglese da Chiara Morettini)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy