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HOT DOCS 2020

Tone Grøttjord-Glenne • Regista di All That I Am

"I bambini abusati non hanno modo di esprimersi"

di 

- Abbiamo parlato con Tone Grøttjord-Glenne, regista di All That I Am, che racconta la storia di una sopravvissuta agli abusi sessuali e la sua lotta per essere ascoltata

Tone Grøttjord-Glenne  • Regista di All That I Am
(© Stine Østby)

In All That I Am [+leggi anche:
trailer
intervista: Tone Grøttjord-Glenne
scheda film
]
, attualmente in proiezione all'Hot Docs del Canada, Tone Grøttjord-Glenne dà voce a Emilie, ripetutamente violentata dal patrigno dall'età di sei anni. Ora, a 18 anni, torna nella sua casa di famiglia dopo anni di affidamento, decisa a non nascondersi più, nonostante tutto quello che è successo.

Cineuropa: Quando hai presentato il progetto un anno fa, ancora come work in progress, hai menzionato il desiderio di Emilie di essere la voce dei giovani. E' sempre stato così?
Tone Grøttjord-Glenne: Volevo fare un film sugli abusi sui bambini, per contribuire a un cambiamento. Ma prima avevo bisogno di trovare qualcuno, e volevo che fosse un giovane. In tanti casi, le vittime hanno bisogno di anni prima di essere pronte a parlare. Ho contattato il dipartimento di polizia norvegese e mi hanno indirizzato ai servizi di protezione dell'infanzia. Erano d'accordo che con la persona giusta, poteva essere una cosa molto potente. Quando ci siamo incontrati, Emilie aveva appena compiuto 18 anni. Sapevo che era tornata a vivere con sua madre e che era una relazione vulnerabile, essendo stata separata per così tanto tempo. Voleva davvero raccontare la sua storia.

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La mostri mentre impara a parlare della sua esperienza. Dato che è iniziata così presto, all'inizio non sapeva come articolarla.
Ho scoperto che è molto comune: i bambini non hanno un linguaggio per questo. Non sanno che non è normale. Emilie sentiva che era sbagliato, ma ha capito cosa stava succedendo quando aveva 12 anni, durante una lezione di educazione sessuale. Sentiva che la sua voce non veniva ascoltata: non nella sua famiglia, non a scuola. Avevamo pochi giorni di riprese, solo 28 nel corso di due anni, quindi a volte andavo lì un giorno prima, solo per passare del tempo con lei, e poi giravamo per un'ora. Non volevo che lei si sentisse come se stessi solo prendendo qualcosa. Ma quando si trattava di parlare veramente, non era qualcosa che lei sapeva fare, e nemmeno io. Anche sua madre era riluttante, quindi si trattava più che altro di essere lì e osservare. Non le ho chiesto dell'abuso. Non mi sembrava giusto.

È per questo che avete incluso la registrazione audio dell'intervista alla polizia?
Abbiamo finito per usarla verso la fine del montaggio, rendendoci conto che la gente deve capire perché è così difficile per lei vivere la sua vita quotidiana. Bisognava ricordarsi di quello che ha passato. Si viene a sapere della causa in tribunale, la si segue alle riunioni e si ha la sensazione che stia lottando. Vive nella sua testa tutto il tempo.

C'era un piano per iniziare una campagna insieme al film. È ancora in corso?
Abbiamo creato una campagna di impatto sociale a cui stiamo lavorando da un anno e mezzo. Il film segue Emilie dai 18 ai 20 anni, ma ho parlato con molte persone che sono state importanti per lei. La sua insegnante si sentiva in colpa per non averle mai chiesto se qualcosa non andava. Lei ha detto: "Non avevo gli strumenti per capire". Questo è stato il primo elemento. Abbiamo creato uno strumento digitale per gli insegnanti per ottenere maggiori conoscenze sull'abuso sessuale: come scoprirlo, come parlare con gli studenti. L'abbiamo basato sul suo periodo nella scuola elementare, poco prima che lei lo denunciasse. Lo abbiamo lanciato a marzo, e poi è arrivato il coronavirus, ma lo abbiamo presentato a circa 2.000 persone, ed è diventato parte del curriculum in alcune università. L'altra parte della campagna è stato un lancio cinematografico in Norvegia, e ora, lo stiamo offrendo attraverso la nostra piattaforma.

Lei ha deciso di non mostrare il colpevole. Viene solo menzionato nelle loro conversazioni o in tribunale, quando sua madre le dice di non guardarlo.
Abbiamo ottenuto il suo permesso per filmare il processo - non voleva essere mostrato. Ma soprattutto, non volevo che lui ne facesse parte. Volevo che Emilie amasse questo film, ne fosse orgogliosa e non dovesse guardare la sua faccia. Volevo che lei potesse scegliere di andare alle proiezioni e di amarlo. Lui è ancora lì, con lei che ha paura di lui seduto in aula, di incontrarlo per strada. Anche questa assenza fa paura.

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Potete trovare maggiori informazioni sulla campagna di cui parla Grøttjord-Glenne qui.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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