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IDFA 2019

Marija Stojnić • Regista di Speak So I Can See You

"L'immaginazione e l'astrazione sono importanti quanto la storia e i fatti"

di 

- Abbiamo parlato con la regista serba Marija Stojnić del suo documentario Speak So I Can See You, incentrato su Radio Belgrado

Marija Stojnić  • Regista di Speak So I Can See You

Abbiamo parlato con la regista serba Marija Stojnić, il cui documentario sperimentale e molto creativo Speak So I Can See You [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Marija Stojnić
scheda film
]
, che esplora l’universo di Radio Belgrado, è stato presentato in anteprima mondiale nel concorso First Appearance dell’IDFA.

Cineuropa: Che cosa l’ha ispirata a realizzare questo film?
Marija Stojnić:
La Radio. Ero appena tornata a Belgrado nell’inverno 2015/2016 dopo aver passato qualche anno negli Stati Uniti e iniziai ad ascoltare la programmazione di Radio Belgrado 2 e 3. Avevo in qualche modo dimenticato che quella programmazione esistesse e, quindi, riscoprirla fu quasi una rivelazione.

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All’inizio, seguivo gli show serali, che sono dedicati a pensiero filosofico, letteratura, musica contemporanea e sperimentale e, in seguito, anche le programmazioni giornaliere e drammatiche. Una vera radio live vecchia scuola che amava questo tesoro immateriale, mai rilevante, senza tempo. E poi, iniziai a notare come questo suono che si stava integrando nella mia vita giornaliera, cominciasse a cambiare non solo il mio flusso di pensiero, ma anche la mia esperienza di spazio fisico, il modo in cui vedevo il mio appartamento, le strade nel mio quartiere. In un certo senso, riscoprii Belgrado e creai una nuova relazione con la città, perché ora, attraverso il suono, mi sintonizzavo in questa diversa cultura non dominante, viva ma assente dai media mainstream.

Come ha sviluppato il concetto del film?
Chiaramente, il suono deve venire per primo. Volevo esplorare l’abilità del suono radiofonico di cambiare la nostra percezione della realtà quotidiana e di farci sentire un po’ meno soli. Quando dico soli, non mi riferisco all’assenza di altre persone, ma al senso generale di disorientamento, inadeguatezza e isolamento come esperienza umana comune, ovunque. Tutti portiamo con noi diversi tipi di trauma transgenerazionale ed è importante conservare la storia e la memoria presente, capire l’esperienza di coloro che sono stati qui prima di noi, per capire noi stessi. Ma dobbiamo anche imparare ad essere liberi e a giocare, immaginare l’inimmaginabile, che significa progettare, creare qualcosa di nuovo. Immaginazione e astrazione sono importanti quanto storia e fatti.

Siamo andati a Radio Belgrado per capire come avremmo potuto catturare il percorso del suono dal luogo della sua concezione fino alle case degli ascoltatori e per mostrare come si trasforma nello spazio. La radio è diventata un personaggio, in un certo senso, e io ho voluto rappresentare questo corpo collettivo di storia orale e creazione, che è stato con i suoi cittadini per quasi un secolo. Abbiamo fatto un paio di riprese di prova, visto che stavamo diventando familiari con questa struttura vivente, monumentale e multidimensionale e con le sue persone.

In seguito, ho ascoltato gli archivi: iniziando da semplici parole chiave, finendo con liste e categorizzazioni vaste. Quando sentivo alcuni pezzi che mi scuotevano e che suscitavano immediatamente un’immagine, un colore, uno spazio dove doveva essere inserito, prestavo attenzione. È stato un collage realizzato molto attentamente che mi richiedeva di pensare e comprendere, ma anche di ascoltare più attentamente la mia intuizione, anche quando non avevo una risposta razionale per spiegare il perché quel suono dovesse andare con quell’immagine e perché dovesse essere nel film. Percepivo il nuovo significato che stavamo creando.

Abbiamo intenzionalmente creato una separazione visiva tra i segmenti osservazionali del film (che seguono la vita di tutti i giorni) e il mondo della Radio come nostro corpo collettivo (questo mondo di idee senza tempo, con cui eravamo in disaccordo e con cui ci sintonizzavamo, che è onnipresente, una cripta di spirito, tempo, storia, memoria, pensiero creativo… la nostra essenza preservata nel suono). Credo che siamo riusciti a creare questi sensi completamente diversi di un luogo, nello stesso spazio fisico.

Come ha strutturato il finanziamento? Deve essere stato un progetto difficile da lanciare.
Credo che ogni progetto che si discosta dalla struttura della narrativa classica, temi caldi e ricette collaudate, sia difficile da lanciare. Soprattutto perché non sempre lo proponi ai decisori, ma alle persone che devono poi suggerirlo alla persona successiva nella scala gerarchica. La sfida è stata di rendere il progetto più presentabile e “con i piedi per terra”, senza semplificarlo eccessivamente e omettere la sua complessità, il suo cuore. E ancora, siamo stati molto fortunati a ricevere riconoscimenti dal Film Center Serbia, Eurimages (Lab Project Award al Festival di Salonicco), il Doha Film Institute e il Finnish YLE, che è stata la prima emittente a scegliere il film.

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(Tradotto dall'inglese da Miriam Ferraglioni)

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