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Meryl Fortunat-Rossi e Valéry Rosier • Registe di La Grand-Messe

"Questi ciclisti rimandano al Cristo che porta la sua croce"

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- Cinergie ha incontrato le registe Meryl Fortunat-Rossi e Valéry Rosier per parlare del loro documentario La Grand-Messe

Meryl Fortunat-Rossi e Valéry Rosier • Registe di La Grand-Messe
I registi Meryl Fortunat-Rossi e Valéry Rosier

Meryl Fortunat-Rossi e Valéry Rosier fissano lo sguardo su cose che gli altri tendono a trascurare, dalle panchine di una corrida al vagare dei vacanzieri solitari. In La Grand-Messe [+leggi anche:
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intervista: Meryl Fortunat-Rossi e Val…
scheda film
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, uniscono le loro forze per filmare il Tour de France dal punto di vista degli spettatori che si accampano con 15 giorni di anticipo per non perdersi nulla del passaggio dei ciclisti.

Cinergie: In questo film si ritrovano i vostri due rispettivi universi. Come vi è venuto il desiderio di collaborare su questo soggetto?
Valery Rosier:
A Bruxelles, ci piace ritrovarci nei vecchi bar o nel club di bocce di Saint-Gilles, dove i clienti abituali hanno più di 60 anni. Condividevamo quindi sin dall'inizio un grande affetto per questo tipo di pubblico che non si vede molto al cinema e che volevamo mettere in risalto. L'idea del Tour de France è nata un po' per caso. Ero andato a presentare un film al festival del cinema belga itinerante organizzato da Meryl nel sud della Francia. Durante il festival, ci siamo ritrovati entrambi a fare la siesta davanti al Tour de France. Ci siamo quindi resi conto di avere una passione comune. Questi momenti di siesta possono davvero essere la base di grandi progetti!

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Meryl Fortunat-Rossi: Proprio così, non è stato tempo perso. Ci ha anche unito il desiderio comune di filmare i retroscena delle gare ciclistiche: mostrare come le persone siano appassionate del Tour anche vedendo poco l’oggetto del loro amore...

Avete cominciato con il cercare un luogo o dei personaggi?
V.R.:
Per prima cosa abbiamo scelto un luogo, il Col de l'Izoard, con la sua "Casse déserte", un luogo un po' lunare e mitico. Questo valico è una tappa importante del Tour, pur non essendo uno dei più grandi.

M.F-R.: Era anche la prima volta che il Tour de France arrivava in cima a questo valico e questo lo ha reso il terzo passo più alto da attraversare. Era l'ultima tappa di montagna di quell'anno. Posizionando le nostre camere negli ultimi tornanti, sapevamo che ci sarebbe stata una certa frenesia dal momento che era lì che si decideva l’esito della gara.

Il vostro film sembra a priori privo di messa in scena, ma una sequenza come quella della coppia che legge a letto e spegne la luce prima di dormire rivela una forma di artificialità. Vi si immagina mentre filmate ai piedi del letto e ci si chiede quale sia la parte di messa in scena nelle altre sequenze...
V.R.:
Io tendo a mettere in scena, con la partecipazione dei protagonisti, ma non è affatto il caso di Méryl. Quindi abbiamo deciso di non farlo: il 98% del film è pura registrazione, ad eccezione di piccoli momenti costruiti con loro. Per le scene a letto, ad esempio, era una questione di rispetto: questo momento apparteneva alla loro intimità e non era questo il tema del film. Quindi abbiamo ricreato una scena della buonanotte... nel tardo pomeriggio.

M.F-R.: Questa scena, tutti sanno che non è possibile che sia naturale: permette di strizzare l’occhio allo spettatore, di dirgli che i protagonisti e noi eravamo complici, che tutti si sono divertiti. Come una sorta di mini intervallo di making-of.

V.R.: E il fatto di dire che stiamo mentendo è come dire la verità, in un certo senso...

Strutturate formalmente il vostro film attorno al tema della messa. In quale preciso momento vi è venuta in mente questa costruzione?
M.F-R.:
Era presente sin dalla fase di scrittura del film. "La grande messa" è il soprannome del Tour de France: è stato facile per noi vedervi i legami.

V.R.: Vi ritroviamo la celebrazione della fatica: questi ciclisti sudati rimandano al Cristo che porta la sua croce. Le reliquie religiose possono essere associate alla carovana pubblicitaria, che lancia i cappellini Cochonou per i quali la gente è pronta a combattere. Ritroviamo anche la natura sacra della montagna.

M.F-R.: E qui la gente ha bisogno di essere filmata, di diventare immagine, un'immagine che renda immortali attraverso l'archivio televisivo.

(Leggi l’intervista completa in francese qui.)

In collaborazione con

 

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(Tradotto dal francese)

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