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VENEZIA 2019 Settimana Internazionale della Critica

Marie Grahtø • Regista di Psychosia

"Saluta il passato"

di 

- VENEZIA 2019: Cineuropa ha parlato con la regista residente a Copenaghen Marie Grahtø, che presenta il suo primo lungometraggio, Psychosia, alla Settimana Internazionale della Critica

Marie Grahtø  • Regista di Psychosia
(© Christian Geisnæs)

Ambientato in un reparto psichiatrico – gestito dalla stessa Trine Dyrholm – il bergmaniamo Psychosia [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Marie Grahtø
scheda film
]
di Marie Grahtø vede la ricercatrice Viktoria (Lisa Carlehed) prodigarsi per aiutare Jenny, una paziente con tendenze suicide (Victoria Carmen Sonne); tuttavia, appare presto evidente che il loro legame porterà a un finale inaspettato. Attualmente, il film è in proiezione alla Mostra del Cinema di Venezia, nell’ambito della Settimana Internazionale della Critica.

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Cineuropa: Il suo film sembra essere, talvolta, un film storico, se si pensa, ad esempio, ai costumi o al modo in cui è stato girato. In quale periodo storico si svolge effettivamente la vicenda?
Marie Grahtø: Ho voluto creare il mio tempo, se così si può dire: ad esempio, la scelta di vestire la protagonista con abiti di foggia vittoriana nasce dal fatto che proprio in quell’epoca è nata la psicanalisi. Tuttavia, nonostante questo riferimento storico, ho voluto rendere il personaggio più moderno facendole indossare un completo da uomo.

Questo film dissolve l’intera definizione di mondo esterno, e il concetto di gender rimane un tema marginale; inoltre, nonostante i personaggi siano impersonati da donne che si identificano come donne, io mi sono concentrata soprattutto sulla loro natura di esseri umani. Credo che Viktoria sia molto androgina: è sì femminile, ma difficile da interpretare in questa chiave. Tutte queste etichette sono prive di senso, poiché ciò che conta realmente è quanto accade tra loro. Ho provato, inoltre, a inserire nel film alcuni riferimenti visivi ad altri film, tra i quali Persona di Bergman, mentre per quanto rigaurda l’utilizzo dello zoom mi sono ispirata al cinema degli anni ’70.

Ritorna di certo alla mente il film Persona nella scena in cui i due volti di donna si fondono insieme. È sempre “pericoloso” citare altri registi, figuriamoci riproporne elementi iconici.
Ho scelto di inserire un riferimento così esplicito nel mio lungometraggio, in quanto Persona è stata un’importante fonte d’ispirazione non solo per questo film ma anche per la mia vita in generale. Citare questo film mi spaventava un po’, poiché rispetto molto l’opera di Bergman; tuttavia, ritengo non sia sbagliato salutare il passato e cercare di farlo proprio, se lo si desidera.

L’epoca d’oro della psicanalisi, che lei ha citato, è oggi oggetto di molte discussioni – soprattutto per quanto riguarda il tema del comportamento femminile. Qual è la sua posizione in merito?
Questa è una storia di fantasia, la quale, tuttavia, si basa anche sulla mia esperienza personale relativa alla psicosi e al ricovero ospedaliero in giovane età. L’aver vissuto queste esperienze mi ha portato ad esplorarle ulteriormente per poter scoprire qualcosa in più di me stessa. Ci sono molte scuole di pensiero sulla psicanalisi, ma è stato interessante scoprire come l’invenzione di questa disciplina si possa attribuire a una donna chiamata Anna O. [pseudonimo di una paziente di Josef Breuer], la quale, assieme a lui, scoprì la “terapia della parola”. Freud fu molto ispirato dalla loro collaborazione e, nonostante le conclusioni precarie al quale giunse, fu il primo a mostrare un interesse di carattere puramente scientifico nei confronti dell’emotività femminile e a descrivere le cause della sofferenza delle donne. Dopo la morte di Freud, Melanie Klein e Anna Freud si affermarono tra gli esponenti più prominenti nel settore.

In molti film che trattano questo tema ritroviamo un personaggio che cura e un altro che riceve le cure. In questo film, invece, entrambi i personaggi sono conflittuali.
Ho cercato di rappresentare l’idea tipicamente freudiana della lotta tra Ideale e Desiderio, che noi tutti sperimentiamo. I miei personaggi rappresentano questi due concetti e nel film li ho fatti interagire per vedere chi alla fine avrebbe vinto. Jenny simboleggia da un lato il Desiderio, poichè manipola gli altri od oltrepassa i limiti (in questo caso quelli di Viktoria), dall’altro è un personaggio infantile, poiché la difficoltà che Viktoria incontra nel rapporto con Jenny sta nel non riuscire ad accettare questo lato di sé. Viktoria non sa giocare ed io ho voluto mostrarne le conseguenze.

Al di là di tutte queste questioni filosofiche, la storia rimane molto fisica. Si è assicurata di rendere il corpo sempre presente, sia nel dolore che nel piacere?
Nonostante ci provino continuamente, i loro corpi non riescono ad avvicinarsi. Viktoria si è posta dei limiti molto rigidi e solo quando incontra Jenny è tentata di lasciarsi andare. Ho voluto giocare con i diversi stati d’animo che si possono sperimentare in un non-luogo quale un reparto psichiatrico. Esso, infatti, è una zona di transito: non vi si rimane per sempre e lì ci si sente come se ci si trovasse al centro dell’universo, dove non c’è gravità, il tempo non è lineare e le leggi della fisica possono cambiare. In esso tutto è arbitrario ed è proprio questa sensazione che ho voluto catturare attraverso il cinema.

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(Tradotto dall'inglese da Gaia De Antoni)

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