email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

VENEZIA 2019 Fuori concorso

Andrea Segre • Regista de Il pianeta in mare

"Ho fatto quello che facciamo noi documentaristi: chiediamo di poter entrare nei luoghi e di starci per un tempo inusuale"

di 

- VENEZIA 2019: Abbiamo chiacchierato con il regista veneto Andrea Segre, autore de Il pianeta in mare, proiettato fuori concorso a Venezia

Andrea Segre  • Regista de Il pianeta in mare
(© Valeria Fioranti)

Il regista veneto Andrea Segre ci ha rivelato alcuni aspetti della lavorazione del suo ultimo documentario, Il pianeta in mare [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Andrea Segre
scheda film
]
, ambientato a Marghera e proiettato fuori concorso alla 76ma Mostra di Venezia.

Cineuropa: Ha scelto di raccontare ilpianeta industriale” di Marghera. Perché?
Andrea Segre: Credo ci sia in corso in Italia una sorta di rimozione rispetto a questi luoghi che sono d'importanza economica ma anche esistenziale. Lo spavento provocato – giustamente – dalle ferite di questi posti ha allontanato l'attenzione pubblica, politica e umana. Questa disattenzione credo però possa produrre delle distorsioni molto gravi. Volevo dedicare un racconto cinematografico – non giornalistico – alla vita e agli spazi esistenziali di Marghera. Quando trovo qualcosa che m'incuriosisce, che credo di conoscere ma di cui non ho avuto esperienza diretta, cerco di scoprirla a fondo e di varcare quel confine. In questo caso, sono entrato in uno dei pianeti industriali più importanti d'Italia, peraltro molto affascinante dal punto di vista estetico per via della Laguna. È stata una gran bella avventura.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Quali sono, invece, le speranze della comunità per il futuro?
Credo ci siano principalmente due enormi sfide a Marghera. Da una parte, la capacità di fare economia industriale sostenibile, senza produrre ferite: ad esempio, promuovendo la conversione della chimica in chimica verde, la conversione della petrolchimica in cosiddetta “petrolchimica bio” e l'impiego di materie prime riciclabili. Marghera può diventare una delle capitali di questa trasformazione: buona parte dell'area è stata già bonificata e un'altra parte considerevole demolita. C'è ancora del lavoro da fare ma manca soprattutto un'idea progettuale. In questo senso, la sfida è riuscire a fare industria rispettando corpi e natura. L'altra grande sfida, invece, è il superamento dell'etnicizzazione dei diritti, ovvero la sfida della multiculturalità. A Marghera da sempre lavorano gli stranieri: prima venivano dalla campagna, poi dal Sud ed ora da tutto il mondo. Ci sono 67 nazionalità diverse e l'obiettivo è riuscire a garantire la parità dei diritti per tutti.

Il film presenta un variegato microcosmo di personaggi, italiani e stranieri, che vivono nel cuore pulsante della Laguna. Come ha selezionato i soggetti?
A fiuto! Ho fatto quello che facciamo noi documentaristi: chiediamo di poter entrare nei luoghi e di starci per un tempo inusuale. Ringrazio Eni per avermi concesso una possibilità rara, viste le elevate misure di sicurezza richieste. A Marghera ho trascorso quello che io chiamo il tempo ufficialmente “inutile”: per inutile, intendo il tempo non concordato ed imprevedibile, speso nell'attesa di trovare i soggetti giusti. Ho sentito che dietro quegli occhi c'era qualcosa da interessante da raccontare. La cosa fondamentale era che non fossero testimoni importanti della storia di Marghera, ma che fossero esseri umani molto normali. Questo è il cinema che mi piace di più: raccontare persone che non sono a priori definite eccezionali, ma nelle quali si possono trovare elementi di eccezionalità.

Quanto è durato il tempo “inutile”?
Abbiamo vagato per Marghera da febbraio a novembre 2018, con un periodo più intenso tra maggio e giugno, quando siamo stati lì un mese.

Quali sono stati i riferimenti cinematografici che hanno guidato la sua regia?
Il film si inserisce nella tradizione del documentario narrativo, partendo da De Seta per arrivare a Rosi: si tratta di un cinema che frequento, ascolto, cerco di capire molto. Questo è il mio primo film in cui ho tentato una regia interamente narrativa, ovvero in cui le persone agiscono e non si fermano a parlare: senza interviste, per intenderci. Negli ultimi anni, inoltre, il documentario narrativo ha raggiunto in Italia livelli molto alti. Però mi son detto: in passato il cinema italiano ha raccontato molto il mondo industriale – basti pensare ad Olmi, De Seta, Ferrara – e proprio oggi, durante la rinascita del documentario, nessuno lo racconta più? Sembra ci sia stata la stessa rimozione di cui parlavo poc'anzi e quindi ho deciso di raccontare questa realtà.

Qualche piccola anticipazione sui suoi nuovi progetti?
Continuo a tenere vivo il rapporto tra finzione e documentario, intrecciandoli sempre più. Sto scrivendo una sceneggiatura che sarà ambientata a Giudecca e che parla delle trasformazioni della città di Venezia, in parte causate dai flussi turistici. Dovremmo riuscire a girare il progetto prossimamente, credo ad inizio 2020.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy