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LOCARNO 2019 Concorso

Damien Manivel • Regista di Les Enfants d'Isadora

"Cerco sempre di guardare gli attori come se stessero danzando"

di 

- Il regista francese Damien Manivel ci racconta del suo ultimo film Les Enfants d'Isadora, proiettato in Concorso internazionale a Locarno

Damien Manivel  • Regista di Les Enfants d'Isadora
(© Ottavia Bossello)

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, l'ultimo film del regista francese Damien Manivel, ci immerge con tenerezza e precisione nel mondo della ballerina Isadora Duncan. Un omaggio alla danza libera dall'elitarismo che troppo spesso la soffoca. In occasione della sua première al Festival di Locarno, che ha suscitato molta emozione nel pubblico, abbiamo parlato con il regista dell'influenza che la sua formazione nella danza ha sul suo cinema.

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Cineuropa: Perché ha scelto il personaggio di Isadora Duncan, e in particolare il suo assolo "La madre", come prima incursione diretta nel mondo della danza?
Damien Manivel: Ho scelto la storia di Isadora Duncan come fil rouge del mio film, ma ho anche la sensazione che lei abbia scelto me per raccontare la sua storia e girare questo film. È successo per caso durante un'improvvisazione con l'attrice Agathe Bonitzer. Eravamo nel mezzo di un'improvvisazione quando fece un gesto molto lento con la mano e il braccio, a terra, e un'amica coreografa presente in quel momento mi ha detto che quel gesto le ricordava l'assolo "La madre" di Isadora Duncan. Le ho chiesto di raccontarmi la storia. Mi ha toccato molto, e mi sono detto che avevo trovato il mio film, la sua fonte. Dopo mi sono davvero immerso nel personaggio di Isadora Duncan, nella sua biografia, nelle sue foto, e sono rimasto molto commosso e ispirato dalla sua vita. È una persona che mi ispira come donna, ma direi ancor di più come artista: il suo rapporto con l'arte, i suoi eccessi e il fatto che veda l'arte come qualcosa di molto potente. Questo è qualcosa di abbastanza raro e anacronistico oggi. Duncan afferma che "l'arte è vitale". Questa frase mi tocca.

In che modo pensa che la sua formazione nella danza influenzi la sua sensibilità come regista?
Ho smesso di ballare molto tempo fa, ma ho ancora ricordi, sensazioni. E ci penso molto perché è sempre la mia prima passione, prima del cinema. Per rispondere onestamente, penso che influenzi il modo in cui guardo le persone. Cerco di guardare sempre gli attori come se stessero ballando. Anche se vedo una coppia che cammina mano nella mano, sul piccolo schermo della cinepresa immagino che stiano ballando. È così che provo un'emozione, filmando cose molto semplici dicendomi che la danza, il suo potere, è presente ovunque.

Non si è mai chiesto, durante le riprese, se anche le persone che non hanno conoscenza della danza contemporanea potessero aderire pienamente all'estetica del film?
Penso che non ci siano assolutamente problemi in questo senso. Il tema del mio film è universale e penso che possa insegnare qualcosa alle persone che non provengono da quell’ambiente. La danza contemporanea è spesso percepita come un po' difficile da affrontare. Abbiamo l'impressione di non capire, di sentirci un po' stupidi. Penso che il film faccia il movimento opposto, invita lo spettatore a capire cosa significhi cercare una danza, come i gesti possano portare un'emozione. Un’amica che ha visto il film mi ha detto: "Non sapevo nulla della danza e penso di aver capito qualcosa". Mi è piaciuto perché è in un certo senso quello che cerco di fare. È un peccato che persone pensino che la danza sia lontana da loro. Siamo tutti in grado di ballare.

Perché ha deciso di strutturare il suo film in tre parti e come ha scelto le sue quattro attrici principali?
Quando ho scoperto l'assolo "La madre" ho voluto subito che attraversasse corpi diversi, età diverse, ma anche storie diverse. In effetti volevo che fosse esso stesso un gesto di trasmissione. Trovo molto bello che il cinema possa trasmettere energia da una persona all'altra. È molto importante. Quindi, come dico nel film, la danza non appartiene a nessuno. Nel mio film volevo avere persone molto diverse, anche lontane dal mondo della danza. Questo è il mio modo di dire: qualunque sia la tua età o la tua storia, la danza ti appartiene.

Agathe l’ho incrociata una sera e l’ho subito trovata molto stimolante, molto magnetica. Manon l'ho vista in uno spettacolo ad Avignone, è un'attrice professionista. Mi è piaciuta molto, l'ho trovata molto creativa, molto sicura. Elsa la conosco da dieci anni, abbiamo realizzato un cortometraggio insieme. E anche Marika la conosco da dieci anni. Quindi le avevo in mente, volevo fare un film con loro. Non lavoro con gli attori prima delle riprese. Direi che abbiamo fatto più un lavoro di danza che un lavoro di attori. Ho imparato a conoscerle, a guidarle, a lavorare con loro mentre le vedevano danzare.

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(Tradotto dal francese)

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