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Christian Alvart • Regista di Dogs of Berlin

"Il film deve avere una voce"

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- Reduce dalla fortunata serie Netflix Dogs of Berlin, Christian Alvart parla con German Films dei suoi progetti passati, attuali e futuri

Christian Alvart • Regista di Dogs of Berlin
(© Syrreal Entertainment)

Grazie alla serie televisiva di enorme successo di Netflix Dogs of Berlin, Christian Alvart sta dimostrando di essere un eccellente regista, capace di avere un’ampia visione di insieme, forse la più ampia di tutte, sui format d’intrattenimento popolare internazionali. Secondo lui, le persone, i personaggi e, di conseguenza, il pubblico sono sempre da porsi al primo posto.

Come ci spiega, “la serie Jack Ryan mostra che c’è qualcosa di più rispetto al solo punto di vista di Tom Clancy. Una serie televisiva offre l’opportunità di scendere maggiormente nei dettagli, ovvero di allargare la prospettiva di partenza e di spiegare vari elementi, e proprio per questo riusciamo a conoscere meglio i vari personaggi e non ci lanciamo in giudizi affrettati. È esattamente questo il significato che Dogs of Berlin ha avuto per me: tutti i personaggi vengono osservati con amore ed empatia. Mentre costruivo questo mondo mi sono reso conto che c’era bisogno di sentimento, oltre a quella tensione che aveva caratterizzato questo processo dall’inizio”. In effetti, le emozioni non mancano.

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L’idea di base di Dogs of Berlin vedeva come protagonista un poliziotto, con un passato da estremista di destra, a cui mancano le battaglie e il cameratismo. È un giocatore d’azzardo che un giorno, per caso, si ritrova su una scena del crimine: ha davanti il cadavere del calciatore più famoso di tutta la Germania, emigrato nel paese in passato, e il giorno dopo la nazionale deve giocare contro la Turchia. “Quell’uomo è l’argomento principale della discussione socio-politica e sportiva, e ora è morto!”. Alvart, che vanta una grande esperienza nelle serie televisive investigative tedesche (Tatort) e che adora quello che i tedeschi definiscono “Krimis” (serie poliziesche), ci spiega: “Il calcio è quasi una religione e la città esploderà se questo crimine dovesse venire fuori! Inoltre, il protagonista può fare delle scommesse e vincere una bella somma!”. Tuttavia, ecco che arriva il secondo poliziotto, turco-tedesco. Lui è “un buon burattino nelle mani dei politici, è omosessuale e un liberale di destra. Insomma, è ben lontano dal solito personaggio turco stereotipato!”.

Il soggetto e i personaggi, entrambi creati da Alvart stesso, erano stati concepiti in un documento di riferimento di 160 pagine, scritto dall’autore prima che Eric Barmack, di Netflix, arrivasse e gli chiedesse: “Hai uno show per me?”. All’inizio non credevo stesse succedendo davvero! Tuttavia, poi gli ho mandato il manoscritto e il resto del materiale, l’ho proposto a loro e mi hanno detto che gli piaceva. Il problema è che stavo lavorando a un progetto a quattro mani con Til Schweiger, avevo scritto Cut Off [+leggi anche:
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ed ero già a lavoro su Don’t.Get.Out! [+leggi anche:
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, non sarei riuscito a farcela! Mi hanno solo detto di tornare in un secondo momento. Avevo paura che il mio progetto sarebbe stato scartato, ma sono rimasto comunque in contatto con loro, l’ho riproposto e tutto è andato così velocemente che ho dovuto trovare dei co-sceneggiatori per consegnare il copione. Ora sono veramente fiero del mio lavoro, pronto a supportarlo al 100%, contro ogni controversia o altro”. Inoltre, insiste sulle lodi a Netflix per la loro gestione dello show: “L’hanno pubblicizzato in maniera egregia; c’erano poster giganti ovunque, pubblicità sui treni, nelle metro, nei tram. C’erano poster dei personaggi dappertutto e il tutto aveva un grande stile”.

Quindi come descriverebbe il suo film? “Mi piacciono vari generi, ma il mio approccio è molto dettagliato. Di cosa ha bisogno il progetto? E la storia? L’aspetto più cruciale è che sia la cinepresa a raccontare la storia, è il linguaggio, la storia viene raccontata con le immagini, quindi non può essere casuale. Odio girare le copertine, ho sempre usato le storyboard e non voglio che le coincidenze abbiano un ruolo più importante di ciò che spetta loro. Lo spettatore deve poter percepire qual è la posizione del regista in quanto narratore/racconta storie”.

“Il film deve avere una voce”, continua Alvart, “e deve raccontare bene la storia. Gli attori devono capire che il fatto di essere disposti in un certo modo è uno strumento per raccontare la storia. È bello quando ci sono delle persone che ti dicono di aver guardato il film e di essersi divertiti e di aver capito anche se non ne capiscono la lingua, non c’è complimento migliore! Steven Spielberg è un maestro in questo, come anche Luc Besson lo è! Sono i miei due maestri!”.

Alvart al momento sta lavorando al film Djiango Lives! con Franco Nero, “e la mancanza di una storia di un preambolo è parte della tensione narrativa. Nella prima scena della versione originale lui salva una donna da dei ladri, la porta in un villaggio… e lì la consegna a dei banditi messicani! Solo più tardi scopriamo che lui vuole l’oro e che ha ancora un minimo di decenza. Quando veniamo a scoprire le origini di Darth Vader o i Snake Plissken, questi personaggi diventano banali”.

Tra i progetti a cui è al lavoro al momento figura un remake del thriller spagnolo La isla mínima [+leggi anche:
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. Nella versione tedesca Free Country [+leggi anche:
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, il film rigetta le politiche dell’era franchista, “un qualcosa che è difficile da comunicare a un pubblico tedesco”, ed è ambientato nel 1991 nel Land di Mecklenburg Vorpommern, dove segue diversi destini dopo la riunificazione della Germania: “C’è un fenomeno contrario all’industrializzazione, la Germania dell’ovest svende tutto, le giovani donne lasciano il paese e si scopre che alcuni sono stati uccisi. Un poliziotto della Germania dell’est collabora con un collega dell’ovest, ci fornisce insomma un ritratto dell’anima dei tedeschi in quel periodo”.

In collaborazione con

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(Tradotto dall'inglese da Emanuele Tranchetti)

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