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CANNES 2019 Semaine de la Critique

Charles Tesson • Delegato generale, Semaine de la Critique

"Se conosciamo i registi che vanno sulle piattaforme, è perché le sale e i festival hanno fatto il lavoro prima"

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- Charles Tesson, delegato generale della Semaine de la Critique cannense, commenta la sua selezione 2019

Charles Tesson • Delegato generale, Semaine de la Critique
(© Aurélie Lamachère)

Charles Tesson, delegato generale della Semaine de la Critique (58ma edizione dal 15 al 23 maggio nell’ambito del 72° Festival di Cannes), commenta la sua selezione 2019 (leggi l'articolo).

Cineuropa: Come si è svolto il processo di selezione? Ha ottenuto i film che voleva?
Charles Tesson:
 Come ogni anno e come per tutte le sezioni, ci sono i film che vogliamo e abbiamo, quelli che vogliamo e non abbiamo, e i film che gli altri vogliono e che noi abbiamo. L'importante è che ci sia qualità per tutti e presenteremo otto opere prime sugli 11 lungometraggi che abbiamo selezionato. Cerco sempre di avere in gran parte opere prime. Per i secondi lungometraggi, privilegio le opere che sono molto diverse dai primi lavori dei loro registi perché dobbiamo sentire un passo in avanti in termini di ambizione, soggetto, messa in scena. Cerco anche, per quanto possibile, che questi lungometraggi siano svelati a Cannes dopo che i primi lavori sono passati in altri festival, come nel caso di Vivarium [+leggi anche:
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intervista: Lorcan Finnegan
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di Lorcan Finnegan il cui primo lungometraggio era a Toronto, e per A White, White Day [+leggi anche:
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intervista: Hlynur Pálmason
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 di Hlynur Pálmason, il nuovo sconvolgente film di un regista rivelatosi a Locarno.

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Da qualche anno, il cinema d’autore internazionale esplora i generi. È così anche per la sua selezione 2019?
Alla Semaine abbiamo troppo pochi spazi per lavorare per caselle e sono davvero i film che si distinguono per le loro qualità. Quest'anno, la particolarità è che abbiamo un film d'animazione, J’ai perdu mon corps [+leggi anche:
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intervista: Jérémy Clapin
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di Jérémy Clapin che non solo è in competizione, ma è anche un film francese, mentre di solito il film francese in competizione è di finzione. È una scelta forte e un segnale che mandiamo perché è un film sorprendente. Abbiamo anche un film che può essere descritto come fantastico o bizzarro con Vivarium e che abbiamo anche messo in competizione come avevamo fatto con It Follows, perché sono film forti e vogliamo che la giuria li valuti come tali. Ma il principio generale della competizione è vedere ogni giorno un cinema diverso. Non difendiamo un territorio del cinema: film minimalista, film lento, film camera a mano, ecc. Non ci interessano quei film chiusi che, prima di essere di successo, si posizionano in un determinato territorio cinematografico. Preferisco i film che seguono la loro strada, proposte forti. 

Quest'anno il cinema del Maghreb fa un ingresso notevole. È una nuova onda o una moda transitoria?
Al di là dei film selezionati, c'è una generazione molto giovane di cineasti del Nord Africa in arrivo. Non solo offrono uno sguardo sui loro paesi, ma hanno anche un modo di fare cinema che rompe con la tradizione di un certo realismo di ricostituzione più o meno folcloristico o classico: sono proposte singolari. E non è una cinematografia unica, una scuola estetica, un movimento, perché sono paesi diversi, con storie cinematografiche molto diverse, e non c'è nulla di comparabile tra Le Miracle du Saint Inconnu [+leggi anche:
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 del marocchino Alaa Eddine Aljem, che è una favola con molto umorismo e un tono estremamente singolare, e Abou Leila [+leggi anche:
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dell’algerina Amin Sidi Boumedine, un ambizioso western politico che diventa un'esplorazione della follia in tempo di guerra.

E il resto d'Europa? Solo la Francia, l'Irlanda e l'Islanda sono presenti nella sua selezione.
L'anno scorso è stato un anno europeo molto forte alla Semaine. Ma le cose cambiano. Quest'anno c’erano film italiani, ad esempio, ma nessun colpo di fulmine. Stiamo anche attenti a non rivolgerci sistematicamente a paesi che sono generalmente ben rappresentati, e ci occupiamo di sostenere territori più rari che stanno emergendo, come quest'anno il Costa Rica. Abbiamo visto alcuni buoni film iraniani, israeliani e italiani, ma sono film che non cambiano la percezione che abbiamo di queste cinematografie. 

Perché ha scelto di aprire la Semaine con Litigante [+leggi anche:
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 di Franco Lolli?
Quello che vediamo spesso è il fenomeno di un primo film ben identificato e di un secondo a cui vengono date più risorse e che sentiamo essere il film sovraprodotto che vuole competere, che si pavoneggia un po’, esteticamente parlando. Il cinema è come il calcio, troviamo i giovani, i grandi club li comprano a caro prezzo, alcuni sono all'altezza, ma altri vengono dimenticati molto rapidamente perché non valgono l'investimento o si è voluti andare troppo veloci con loro. Avevamo amato Gente de bien [+leggi anche:
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di Franco Lolli, e trovo Litigante estremamente potente, bello e commovente. È un film alla Pialat: la precisione dei personaggi e dei dialoghi, andare in profondità nella natura umana, un film che va fino all'osso e non cerca di essere formalmente appariscente; al contrario, la messa in scena è al servizio dei personaggi. Quindi è quasi contro corrente rispetto a ciò che accade di solito.

Che cosa ci dice delle due opere prime di registe francesi che saranno svelate in proiezione speciale?
Les héros ne meurent jamais [+leggi anche:
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intervista: Aude Léa Rapin
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 di Aude Léa Rapin è un film che è stato molto complicato finanziare e che fa viaggiare perché si svolge soprattutto in Bosnia. È un film che va oltre la solita pellicola franco-francese, sia in termini di territorialità, di mentalità che di sostanza, perché è un lavoro incredibile, sconcertante, uno sguardo sulla guerra molto singolare perché il personaggio crede di essere la reincarnazione di qualcuno che è morto durante il conflitto nella ex Yugoslavia. Inoltre, ciò che mi colpisce è che Aude Léa Rapin e il regista di Abou Leila tornano entrambi sulle guerre degli anni '90 che hanno fatto a pezzi i Balcani e l'Algeria.
Per quanto riguarda Tu mérites un amour [+leggi anche:
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intervista: Hafsia Herzi
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 di Hafsia Herzi, è un film che non era sui radar di nessuno e che mi ha proposto all'inizio di marzo, dicendomi che l'aveva girato in tre settimane con gli amici e senza un vero budget. È un film molto personale, toccante, accattivante, una storia d'amore che esplora la difficoltà di rompere con un perverso narcisista. Ha un sentore di post Nouvelle Vague; ha il suo tono, molto semplice, ma che funziona. 

Non avete selezionato alcun film finanziato dalle piattaforme. Perché?
Ce li hanno offerti, ma non li abbiamo presi in considerazione. Non è scritto nelle nostre regole, ma ne faccio un principio. Avevo visto ad esempio al Sundance Native Son che ho trovato magnifico, ma è di HBO, quindi l'ho escluso. Perché penso che ci sia abbastanza cinema prodotto in tutto il mondo che ha bisogno dei festival, che vive nelle sale e che trae beneficio dal lavoro di scoperta dei distributori e da quello degli esercenti che prendono i film, portano i registi , sviluppano un vero lavoro di animazione. Se conosciamo i registi che vanno sulle piattaforme, è perché le sale e i festival hanno fatto il lavoro prima. Sono convinto di questo lavoro di prospezione, anche se i film funzionano poco o niente, perché il critico ne parla e perché i festival e le sale li consacrano facendo delle vere scelte d’autore. È tutto questo lavoro che consente ai registi di andare avanti ed evolversi. Naturalmente, se i film che mostriamo vengono successivamente acquistati da una piattaforma, non dipende dalla nostra volontà.

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(Tradotto dal francese)

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