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JIHLAVA 2018

Tomáš Krupa • Regista

"La mia intenzione è osservare ed esaminare il tema della libertà"

di 

- Il giovane regista e produttore slovacco Tomáš Krupa ha incontrato Cineuropa per discutere del suo ultimo documentario, The Good Death, che ruota attorno all'eutanasia

Tomáš Krupa  • Regista

Il regista e produttore slovacco Tomáš Krupa ha svelato il suo secondo documentario, The Good Death [+leggi anche:
trailer
intervista: Tomáš Krupa
scheda film
]
, al Ji.hlava International Documentary Film Festival. Ha incontrato Cineuropa per parlare di come si è avvicinato al controverso tema dell’eutanasia e di come è riuscito a ultimare il suo progetto, una co-produzione internazionale.

Cineuropa: Perché ha deciso di girare un documentario sull’eutanasia dopo il suo debutto su degli studenti di arte disadattati?
Tomáš Krupa:
Di primo acchito, potrebbe sembrare che i progetti siano completamente diversi; ma per me, che ne sono il creatore, sono legati dal tema della libertà. Con Graduates – Freedom is not for Free, volevo dire che la libertà ha un prezzo - la si ottiene insieme a una responsabilità personale -e che nessuno risolverà i problemi della nuova generazione, tantomeno lo Stato. I giovani sono soli, ed è dura perché qualcosa come le pari opportunità non esiste. La libertà è l’essenza dell’essere umano, secondo me, ma nessun uomo è un’isola. Dove inizia la mia libertà, finisce quella di qualcun altro. E questo sembra essere un tema cruciale quando si tratta di eutanasia. Se opto per qualcosa, sto anche optando contro qualcosa, e ciò ha a che fare con la responsabilità personale. Una cosa delimita l’altra. Nella vita cerco la libertà, ma allo stesso tempo voglio rinunciarvi. Il tema è questo, e probabilmente ricorrerà nei miei film. Suppongo che la mia intenzione sia osservare ed esaminare il tema della libertà.

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The Good Death è strutturato su diversi livelli – in uno di essi, come lei ha notato, si vuole superare il tabù della morte. Perché?
Innanzitutto, vorrei sottolineare che la morte in sé non mi interessa; è della vita che mi importa. La morte è inevitabile, anche se non ne sappiamo nulla a riguardo. Possiamo solo immaginare. Diventa interessante quando ci aiuta a guardare la vita da una prospettiva diversa. La parola “eutanasia” viene dal greco, e indica una morte buona o bella. Il concetto di “morte buona” ha sempre rispecchiato l’idea di “vita buona”. I vari punti di vista su cosa significhi  una “morte buona” e sul ruolo della sofferenza si stanno ancora evolvendo, come è già successo nella storia della nostra civiltà, e oggi osserviamo il nostro approccio al tema tramite la storia di Janette e la sua famiglia, che nel mio film si trovano a lottare tra la vita e la morte.

Come ha scoperto Janette Butlin, la sua protagonista?
È stata Janette a scoprirci – e qui è riassunta la bellezza e il mistero della vita. Vuoi qualcosa, mandi un segnale al mondo, e ricevi una risposta, un richiamo. All’inizio l’idea era un po’ diversa dal tema dell’eutanasia. Si trattava di un concetto più ampio, ma ci rendemmo conto che la chiave era restringere lo scopo in modo da avere una narrazione funzionale. Abbiamo incontrato una dottoressa svizzera tramite un agente slovacco che lavora per una società tedesca, che aiuta le persone a morire. Lei si occupa della morte assistita, e ci ha dato l’opportunità di contattare i suoi pazienti per vedere se qualcuno avrebbe reagito. Dopo due mesi, abbiamo ricevuto un unico messaggio; era della 72enne Janette Butlin, che soffriva di una distrofia muscolare all’ultimo stadio. Il sistema sanitario del suo paese, il Regno Unito, non permetteva l’eutanasia attiva o passiva. Lei era la narratrice perfetta, dalla personalità forte e carismatica, cosa importante per un film. Adottammo un approccio assolutamente libero sin dall’inizio, e questa cosa non l’aveva disturbata, perché la sua personalità era proprio così – aperta, diretta e sincera.

The Good Death è una coproduzione slovacco-ceca-austro-svizzera. Com’è stato possibile?
Stavamo girando in Inghilterra, dove vive Janette; poi in Svizzera, dove voleva concludere il suo piano, e negli Stati Uniti, dove vive suo figlio. Tutto il film è in inglese. La troupe viene da Slovacchia e Repubblica Ceca, anche se il film non ha un’ambientazione locale. Non si nota se sia stato girato da una troupe inglese, tedesca, francese, slovacca o ceca. In questo senso possiamo considerarlo universale, e ciò ha permesso una coproduzione più ampia. Da produttore, sono entrato nei mercati internazionali e ho partecipato a workshop per poter finanziare interamente il progetto e realizzarlo come meglio potevo.

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(Tradotto dall'inglese da Giada Saturno)

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