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Zornitsa Sophia Popgantcheva • Regista

“Chi rinuncia a suo figlio per combattere ha più motivazione per andare fino in fondo”

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- Ospite all’11a Festa del cinema bulgaro a Roma, la regista Zornitsa Sophia Popgantcheva ci parla del film da lei scritto, diretto e interpretato, Voevoda

Zornitsa Sophia Popgantcheva  • Regista

Basato su un racconto dello scrittore bulgaro Nikolay Haitov e sulle gesta della vera Rumena, una donna che nella Bulgaria del XIX secolo abbandonò la sua famiglia per guidare una banda di ribelli contro gli invasori ottomani, Voevoda [+leggi anche:
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intervista: Zornitsa Sophia Popgantcheva
scheda film
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è la storia di una madre coraggiosa che lotta per la giustizia in un mondo maschilista. Ne abbiamo parlato con la sua regista, sceneggiatrice e interprete, Zornitsa Sophia Popgantcheva, all’11a Festa del cinema bulgaro a Roma.

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Cineuropa: Lei ha dichiarato che questo è il suo film più personale. In che senso?
Zornitsa Sophia Popgantcheva: Ha a che fare con il mio essere regista donna. Il mio è un paese di uomini, fare cinema è stata una lotta infinita per me, soprattutto agli inizi. Il tema del film è il sacrificio che fa una donna e una madre per lottare per ciò in cui crede. Essendo sceneggiatrice, regista, produttrice e interprete, in un cast di soli uomini, questo film mi ha effettivamente coinvolta a un doppio livello, nella vita e sul set. Era il mio primo ruolo da protagonista al cinema, e la mia coach di recitazione è stata Tzveta Baliyska, che nel film incarna la moglie del mio amante. Vedendo che perdevo peso, mi allenavo di continuo ed ero particolarmente coinvolta nel ruolo, lei mi consigliava di trovare un modo per uscire dalla parte, ma io non potevo essere questo e altro. Quindi durante le riprese, chi mi stava intorno – in particolare il mio partner, che è anche produttore esecutivo, e mia figlia, che interpreta Rumena da piccola – ha dovuto convivere con una persona non molto gradevole: rimanevo nella parte anche nella vita. Ma non potevo immaginare un altro modo per farlo.

Come si è preparata per un ruolo così intenso, sia fisicamente che emotivamente?
Qualche anno fa ho studiato recitazione a Londra, ma solo per essere una regista migliore, per capire il punto di vista dell’attore. Mi sono allenata fisicamente ogni giorno per più di due mesi, ho fatto un training per imparare a usare diversi tipi di armi, anche molto antiche. E questo lo abbiamo fatto tutti indossando i costumi dell’epoca, dalla mattina alla sera, abiti scomodi e di tessuti naturali che davano prurito, correndo per i boschi con spade pesanti attaccate ai fianchi. Il training con Tzveta è stato anche psicologico, per farci diventare una vera banda, anche nella vita. Questa preparazione è stato il momento in cui abbiamo davvero capito quanto potevamo investire in termini di emozioni, attingendo da ognuno di noi. Tutti abbiamo avuto un momento di crollo in cui volevamo tornare a casa. Ma il lavoro di squadra è stato proprio quello di farsi forza a vicenda. Questo sforzo è servito a dare autenticità al tutto. Così come le scelte artistiche: la luce naturale, i primi piani “epidermici”, senza trucco, le musiche suonate con strumenti antichi…

La sceneggiatura è basata su un breve racconto, ma, come vediamo indicato all’inizio del film, anche su testimonianze dirette?
Sì, su testimonianze grezze e inedite. Mi piacevano moltissimo e ho deciso di inserirle nel montaggio del film, in alcuni fermo immagine. La cosa che mi ha affascinato è che sono memorie scritte appena 150 anni fa in cui si dice che Rumena aveva una coda di diavolo, che mangiava carne cruda o che correva così veloce che il suo coltello sgusciava fuori dal fodero. Era talmente diversa da tutte le altre donne che i testimoni creavano storie incredibili su di lei. Oggi ci sono tante donne emancipate, che lavorano e crescono i loro figli molto bene, per questo credo che sia un soggetto ultra contemporaneo. Ma 150 anni fa era considerata un demonio, una creatura soprannaturale.

E invece, secondo gli storici non era nemmeno l’unica donna guerriera dell’epoca…
Ne hanno scoperte più di 30. Il film getta luce su questo fenomeno, la gente sta riscoprendo questo aspetto del passato. La maggior parte delle donne che andavano contro la propria natura femminile, materna, erano messe al muro. Rumena viene stuprata, la appendono nuda a testa in giù, le sputano addosso. Ma chi rinuncia a suo figlio per combattere per la giustizia, diventa subito una leader: ha più motivazione per andare fino in fondo. E penso che questa sia una cosa interessante da indagare, anche in rapporto alle donne di oggi che vogliono dare il massimo nel lavoro. Durante le mie ricerche, un guru mi ha spiegato la differenza tra combattenti uomini e donne: un uomo combatte per la causa, ma anche per competizione; una donna combatte per difendere la vita. Anche se è una scelta controversa, credo che Rumena sia una madre migliore andandosene piuttosto che restando con suo figlio e farsi vedere maltrattata ogni giorno. Così è un esempio per lui, evita di metterlo in pericolo e aiuta anche tutte le altre madri a lottare per la giustizia.

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