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BERLINALE 2018 Panorama

Ioana Uricaru • Regista

"È importante che uno spettatore entri in contatto con il mio lavoro a livello personale"

di 

- BERLINO 2018: Ioana Uricaru parla di Lemonade, un primo lungometraggio che esplora il lato più oscuro del sogno americano e proiettato al Panorama

Ioana Uricaru  • Regista

Dopo aver diretto un corto nell’ambito del film collettivo Racconti dell’Età dell’Oro [+leggi anche:
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di Cristian Mungiu, nata in Romania ma residente negli Stati Uniti, la regista Ioana Uricaru entra nelle luci della ribalta con il suo primo lungometraggio, Lemonade [+leggi anche:
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, un duro ed efficace commento sull’immigrazione e il famoso sogno americano che è proiettato al Panorama del Festival di Berlino. Ecco cosa ha detto sulla sua coproduzione multi-continentale.

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Cineuropa: Prima di tutto, perché Lemonade?
Ioana Uricaru: I miei primi anni negli Stati Uniti sono stati difficili e mi sarei persa senza la mia padrona di casa, Tracey, che è diventata una mia carissima amica. Ad un certo punto stavamo parlando delle difficoltà, poiché anche lei ha avuto una vita davvero molto complicata, e ha detto: “Devi farti una limonata”. Dopo ha spiegato il significato di questa famosa espressione americana: “Quando la vita ti dà dei limoni, tu fai una limonata”. Mi è rimasto impresso come una metafora sul pensiero positivo e l’atteggiamento costruttivo americano possa essere alquanto ingenuo ed amaro. Sono andata via con una curiosità persistente e tuttora irrisolta: se sia veramente possibile fare una limonata aldilà degli ingredienti amari che hai avuto.

Prevede che il suo film possa suscitare un dibattito? Vorrebbe farlo?
Sarei molto felice se il film provocasse il pubblico tanto da spingere le persone a parlarne. I temi del film – immigrazione e appartenenza, rapporti di potere, rapporti di genere – sono ampiamente al centro del dibattito pubblico americano e altrove. Quindi Lemonade probabilmente rientrerà in questa cornice e si spera che porti una prospettiva interessante. Per me è davvero importante che uno spettatore entri in contatto con il mio lavoro prima di tutto a livello personale.

Dal suo punto di vista, qual è stata la cosa più difficile nel realizzare Lemonade in qualità di sceneggiatrice e regista?
Mantenere la fede in molti anni di incertezza e nel tempo quando dubitavo seriamente che questo film non si sarebbe mai concretizzato. E parlare quattro lingue sul set con il nostro staff internazionale – una cosa difficile, ma anche molto energizzante. 

Direbbe che è più difficile per le donne realizzare un primo film?
Ovunque è del tutto difficile realizzare un primo film, ma forse ancor di più negli Stati Uniti, perché non esiste alcun supporto alla produzione cinematografica – nessuna sovvenzione consistente, fondazione, borsa di studio, agenzie di governo o di stato, nessuno modo per finanziare il tuo film oltre ad andare in giro per il mondo e trovare i milioni di cui hai bisogno. Vi sono due modi ampiamente differenti per finanziare un film modesto e indipendente come Lemonade: negli Stati Uniti, è importante il genere su cui stai lavorando, con quali attori hai firmato il contratto. In Europa questi criteri sono pressoché irrilevanti, ma è importante se hai un copione brillante e un precedente portfolio da festival.

Come donna, la produzione cinematografica è uno di quei campi in cui le statistiche dimostrano che le donne sono in notevole minoranza – ancor di più negli Stati Uniti che in Europa. Quando sono entrata nella scuola di cinema in Romania, ero l’unica donna regista nei miei quattro anni di percorso e la prima ad essere ammessa da molti, molti anni. Le cose sono un po’ cambiate, adesso ci sono due di noi, Adina Pintilie ed io, con due debutti cinematografici rumeni al Festival di Berlino. Ma vorrei dire che sono stata fortunata.

Non ho mai avuto la sensazione che essere donna fosse un ostacolo per la realizzazione di questo primo film. I produttori e lo staff con cui ho lavorato erano felici ed emozionati nell’essere a bordo della nave che ho capitanato, e loro hanno avuto fiducia in me. C’era solo una persona sulle 100 coinvolte che pensavo non si sentisse a suo agio al 100% nel lavorare con una regista donna. Ma so che questo non il caso di molte, molte donne che provano a proseguire questa carriera, e durante la mia esperienza è stato più difficile negli Stati Uniti che in Europa. Detto ciò, ho vissuto su di me molto sessismo. Non so se conoscete il sito web “Shit People Say to Women Directors”, è un sito in cui i registi di sesso femminile postano in maniera anonima le cose che gli accadono a lavoro. Ho scritto un paio di post.

Sta creando una nuova storia? Può dirci di cosa parla?
Ho due o tre idee: una è ambientata alla fine della Seconda guerra mondiale ed è nuovamente un’analisi dell’America e dell’americanità come un ideale e come realtà.

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(Tradotto dall'inglese da Francesca Miriam Chiara Leonardi)

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