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Tzahi Grad • Regista

“Dobbiamo cominciare a parlare”

di 

- VENEZIA 2017: Cineuropa ha parlato con l’israeliano Tzahi Grad, il cui terzo film, The Cousin ha avuto la sua première nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia

Tzahi Grad  • Regista
(© La Biennale di Venezia - foto ASAC)

In The Cousin [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Tzahi Grad
scheda film
]
, film che ha scritto, diretto e interpretato, Tzahi Grad parla del conflitto israelo-palestinese – questa volta rispecchiato in un incidente all’interno di una piccola comunità. Attraverso la storia di Naftali (lo stesso Grad) e del suo operaio palestinese Fahed (Ala Dakka), accusato di un crimine solo per sentito dire, sottolinea perché a volte è importante mettere da parte le nostre differenze e – per quanto possa sembrare difficile – provare a parlarsi in ogni caso.

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Cineuropa: Il suo personaggio, Naftali, è una celebrità. Di fatto, è un po' come lei.
Tzahi Grad: E’ difficile dirigere un film e prenderne parte allo stesso tempo. Facendolo più simile a me, sapevo che sarebbe stato più facile da gestire. All’inizio volevo che fosse più di un nerd: un po' come Woody Allen. Poi però avrei dovuto concentrarmi di più sulla mia recitazione. In realtà, dopo aver letto la mia sceneggiatura, [il regista] Samuel Maoz mi ha chiesto: “Vuoi scriverlo e vuoi dirigerlo. Perché devi anche interpretarlo?”. Non avevo una risposta pronta, mi sono solo sentito come se dovessi farlo.

Ha veramente girato il film in casa sua?
E’ la mia casa, sono i miei figli e la mia macchina – ho anche avviato un’iniziativa sociale simile. Molte cose in questo film sono reali perché ho usato tutto ciò che c’era intorno a me: anche le crepe nel suolo. Normalmente quando si scrive, non si conosce la futura location. Io la conoscevo. Ha reso tutto molto più facile perché era sempre a portata di mano.

Naftali pensa che si debba riunire le persone per risolverle i problemi. Pensa che sia vero o è soltanto un ingenuo?
Penso che possa succedere. Ci fidiamo troppo dei media e tutto quello che ci mostrano sono bombardamenti, ISIS e tutti questi problemi. E’ spaventoso, ma c’è molto di più. Penso sul serio che se invece di biasimarsi, le persone si sedessero e iniziassero a parlare, vedrebbero che “l’altro” è spesso come noi. Però ci vuole tempo perché siamo stati spaventati per anni.

I nostri leader credono che basti firmare qualche documento e andrà tutto a posto. No – serve tempo. Non sono Nelson Mandela o Shimon Peres ma posso fare qualche passo avanti e magari speranzosamente, altri seguiranno. Beviamo la stessa acqua, perciò perché non possiamo capire come vivere tutti insieme?

Le persone nel suo film non vogliono sedersi e parlare; ciò che vogliono è una scusa per agire.
Hanno paura. La maggior parte di ciò che facciamo è motivato dalla paura. Vuole sapere cosa mi è successo l’altro giorno? Stavo tornando a casa con la macchina e ho visto due auto della polizia dirigersi nella stessa direzione. Poi ne ho vista un’altra e tre persone sdraiate a terra, arrestate. Di fronte a casa mia! Solo il pensiero mi ha messo paura.

Se lei sapesse che c’è un pedofilo che vive nel suo quartiere certamente si preoccuperebbe. Questo conflitto è divenuto parte delle nostre vite ed è difficile lasciarsi andare. Diciamo anche che le persone nel mio film sono un po' annoiate – stanno aspettando che succeda qualcosa di eccitante.

Nessuno è perfetto qui. Per tutte le sue idee idealistiche, a un certo punto anche Naftali preferirebbe girare i tacchi e andare via.
Per la maggior parte del tempo, Naftali cerca di proteggere Fahed. Ma lui mente, così a un certo punto se ne va. “Non lo so”. Non può più gestirlo ormai. E’ un po' come se stesse scendendo una collina, senza sapere dove fermarsi o dove finisce e improvvisamente cade. In The Cousin non sai mai chi sia il cattivo. Senti soltanto che qualcosa di brutto sta per accadere. I registi dovrebbero scrivere i film che gli piacciono e a me piace far pensare le persone. Devo credere che ciò che faccio sia giusto. Magari qualcuno ama Woody Allen ma non deve piacergli ogni suo film – alla fine ne fa uno all’anno. Però penso che si debba sempre entrare nell’ottica che stai scrivendo il miglior film al mondo. Altrimenti qual è il punto?

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(Tradotto dall'inglese)

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